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Da eroi a possibili imputati: la dura lettera dei medici di Pavia. «Avvilente dopo tutta la solidarietà»

01 Luglio 2020 - 10:07 Redazione
«Abbiamo sperimentato la paura, la tristezza, la desolazione, l'impotenza in quello che ci appariva un incubo. Siamo stati chiamati eroi, anche se non ci siamo mai sentiti tali, perché gli eroi, di solito, scoprono di avere dei superpoteri; noi, invece, no»

«Un giorno il virus è arrivato. Improvviso. Inatteso. Si è infilato nelle nostre vite, nelle nostre relazioni, si è nutrito dell’aria dei nostri polmoni e delle nostre paure». La lettera dei 19 medici del pronto soccorso dell’ospedale San Matteo di Pavia, pubblicata dalla Provincia Pavese, è l’espressione della delusione di una categoria che, da essere osannata per il proprio ruolo nella lotta al Coronavirus, adesso si trova ad affrontare richiami ed esposti delle procure.

È un testo amaro che ripercorre la parabola dei dottori, da eroi a sospettati: «Sembra che il problema sia solo quello di capire di chi sia stata la colpa di tanto dolore – spiega il direttore del reparto Stefano Perlini, che ha condiviso la lettera aperta -. Ora, gli esposti non riguardano il nostro gruppo di lavoro, ma è comunque avvilente, soprattutto se si pensa alle fatiche fatte, all’energia profusa e anche a quel clima di solidarietà, di umanità che si era creato».

La lettera

Un giorno il virus è arrivato. Improvviso. Inatteso. Si è infilato nelle nostre vite, nelle nostre relazioni, si è nutrito dell’aria dei nostri polmoni e delle nostre paure.

Colpiva, come la biglia rossa impazzita di un flipper rotto e lo faceva senza criterio, come una maledizione da cui ciascuno sperava di scampare. E mentre tutti avevamo paura del mostro che avanzava e avrebbe potuto colpire ciascuno di noi e i nostri affetti con conseguenze che ignoravamo, ecco che noi medici di Pronto Soccorso ci siamo trovati, improvvisamente, a dover indossare doppie vesti. Quella di esseri umani (spaventati, come tutti) e quella di professionisti “dedicati all’umano” a cui veniva chiesto di essere presenti, di scendere in prima linea. Specializzandi compresi. E così abbiamo fatto e ci siamo trovati improvvisamente immersi in scenari che non avremmo creduto possibili. Ci siamo trovati ad inventare una nuova medicina, a cercare continue soluzioni per gestire l’iperafflusso dei malati, a fare i conti con l’insufficienza di risorse nonostante i continui sforzi del sistema organizzativo, risorse che sembravano non bastare mai, tante erano le richieste.

Abbiamo sperimentato la paura, la tristezza, la desolazione, l’impotenza in quello che ci appariva un incubo. Siamo stati chiamati eroi, anche se non ci siamo mai sentiti tali, perché gli eroi, di solito, scoprono di avere dei superpoteri; noi, invece, no. Solo tante fragilità: la paura di essere inadeguati, di non farcela, di crollare sotto il peso dei dispositivi di protezione talora asfissianti, il timore di infettarci e di infettare i nostri cari. C’è stato chi, tra di noi, si è dovuto isolare, chi si è ammalato, chi, nonostante la stanchezza, è rimasto in piedi ad assistere i malati. È stato difficile e molto.

Abbiamo commesso errori, certo, forse non siamo riusciti a garantire il meglio ma abbiamo fatto del nostro meglio. Abbiamo visto persone morire senza la presenza dei loro cari accanto, abbiamo cercato di curare per come meglio potevamo, di informare i familiari nel flusso caotico e inarrestabile dei continui accessi, di consolare e di accompagnare con umanità e dignità quando non è stato possibile salvare. Oggi riceviamo richiami, segnalazioni, esposti in procura; veniamo chiamati a difenderci, a deporre testimonianze, anche solo come persone informate dei fatti.

Se quello che abbiamo vissuto ci è sembrato un incubo, questo epilogo lo è ancora di più. È umiliante, demotivante, frustrante. Potremmo scioperare, creare disservizi, portare la nostra rabbia e delusione sul posto di lavoro, ma questo sarebbe contro la nostra etica che ci invita, ancora una volta, ad esserci ma con professionalità e umanità. Così continueremo a restare ai nostri posti, a garantire la gestione delle urgenze, a fare quello che facciamo ogni giorno con la massima professionalità e nel rispetto dei malati, sperando di ricevere, in cambio, il medesimo rispetto.

I medici del pronto soccorso del San Matteo a la Provincia Pavese

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