Caso Regeni, il vertice tra procure è un buco nell’acqua. Farnesina: «Delusione per l’esito dell’incontro»
Il tempo si dilata, le risposte non arrivano. E la videoconferenza di oggi tra i due uffici giudiziari – Roma da una parte e Il Cairo dall’altra – ha portato al solito risultato: nessun elemento concreto che aiuti a far luce sull’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore di 28 anni morto tra gennaio e febbraio 2016.
«Forte delusione per l’esito dell’incontro tra le due procure. Esigiamo un cambio di passo», ha dichiarato la Farnesina al termine dell’incontro chiedendo all’Egitto rispetto per la famiglia Regeni. Da parte sua il procuratore del Cairo, tramite la pagina Facebook della Procura egiziana, conferma a Roma la «serietà delle misure riguardanti l’omicidio di Regeni e (il fatto che) la Procura di Roma toccherà con mano la trasparenza della squadra di inquirenti egiziani e il suo desiderio di giungere alla verità nel prossimo periodo».
Se da una parte il procuratore generale egiziano Hamada Elsawy ha assicurato che, sulla base del principio di reciprocità, le richieste avanzate dalla procura di Roma sono «allo studio per la formulazione delle relative risposte alla luce della legislazione egiziana vigente», dall’altra il procuratore di Roma, Michele Prestipino, ha insistito sulla necessità di avere un riscontro «concreto, in tempi brevi». Perché le richieste di cui si sta parlando risalgono ormai ad aprile 2019. Oltre un anno fa.
E intanto, durante l’incontro, la procura de Il Cairo ha chiesto altre informazioni per «meglio delineare l’attività di Giulio Regeni in Egitto». E, al solito, ha ribadito la «ferma volontà del suo Paese e del suo ufficio di arrivare a individuare i responsabili dei fatti». Il rapporto di collaborazione tra i due uffici giudiziari va dunque avanti ma al momento si conferma infruttuoso. «Fallimentare» l’hanno definito Paola e Claudio, i genitori di Giulio, al termine di questo nuovo vertice.
E chiedono con forza che venga richiamato l’ambasciatore italiano a Il Cairo, Giampaolo Cantini, visti i risultati mai ottenuti: «Chi sosteneva che la migliore strategia nei confronti degli egiziani per ottenere verità fosse quella della condiscendenza, chi pensava che fare affari, vendere armi e navi di guerra, stringere mani e guardare negli occhi gli interlocutori egiziani fosse funzionale ad ottenere collaborazione giudiziaria, oggi sa di aver fallito – affermano Paola e Claudio Regeni -. Richiamare l’ambasciatore oggi è l’unica strada percorribile».
«Non abbiamo motivo di essere fiduciosi perché fino ad ora da parte egiziana sono arrivati soltanto tentativi di depistaggio e di coprire la verità», dice invece Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ai microfoni di Rai Radio1. «Anche la consegna degli oggetti che appartenevano a Giulio Regeni, che poi in realtà erano oggetti di uno dei tentativi di depistaggio, ci dice che da parte egiziana non arrivano segnali positivi. Per cui anche noi non siamo fiduciosi».
Il contenuto della rogatoria inviata in Egitto nel 2019
Le richieste avanzate dalla procura di Roma nell’aprile 2019 nei confronti delle autorità egiziane sono relative alla natura dei rapporti tra gli altri soggetti della National Security che risultano in correlazione con gli attuali cinque indagati. Questo è un dettaglio determinante, non conosciuto finora, diffuso dalla Procura di Roma oggi, al termine dell’incontro in videoconferenza.
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