Patrick Zaki: «Sto bene». Lo scrive in una lettera alla famiglia: «Un giorno sarò libero e sarà meglio di prima»
Centoquarantanove giorni. In carcere in Egitto, senza un processo, dopo un interrogatorio di 17 ore, torturato con scariche elettriche e percosse. Patrick George Zaki, nonostante tutto, dice di stare bene. «Cari, sono in buona salute, spero che anche voi siate al sicuro e stiate bene – si legge nella lettera che lo studente egiziano dell’università di Bologna ha spedito ai familiari -. Famiglia, amici, amici di lavoro e dell’università di Bologna, mi mancate tanto, più di quanto io possa esprimere in poche parole».
Il 27enne, per una serie di proroghe delle magistratura, attende ancora un giudizio sul suo stato di fermo. È in detenzione preventiva nel carcere di Tora, a Il Cairo. «Un giorno sarò libero e tornerò alla normalità, e ancora meglio di prima», si legge in un passaggio della missiva, firmata da Zaki lo scorso 21 giugno. «Naturalmente non ha potuto dire tutto quello che voleva, dato che queste lettere passano attraverso diversi controlli prima di raggiungere il destinatario», commentano dalla rete di attivisti “Patrick libero”.
Due giorni fa, il ministro dell’Università Gaetano Manfredi, ospite del comitato dei rettori dell’Università della Lombardia, ha risposto all’appello di Amnesty International: «Ritorneremo alla carica con il governo egiziano per garantire che ci sia una decisione rapida sul futuro di Zaki – ha dichiarato -. Dobbiamo fare pressione sul governo egiziano per fare in modo che Zaki abbia un processo giusto e non possa rimanere in carcere».
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