Ippolito striglia i colleghi: «Le divisioni portano confusione: sempre meno mascherine in giro. Ma il virus non è morto»
Quel che preoccupa di più il direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito, non sono tanto i focolai di Coronavirus che stanno rinascendo in Italia, quanto il calo diffuso dell’attenzione al rispetto delle regole per il contenimento dei contagi. I focolai secondo Ippolito, intervistato dal Corriere, «fanno parte della circolazione di tutti i virus. Succede per il raffreddore, per la rosolia e tutte le malattie infettive». Indicano che «il virus non è morto», dice l’infettivologo che si pone nel mezzo tra chi, come Alberto Zangrillo, parla della morte clinica del virus, e chi invece, come Andrea Crisanti, prevede una nuova ondata in autunno.
Ed è proprio sulle continue contrapposizioni tra gli esperti che Ippolito indica un fattore che può aver spinto gli italiani a far «cadere in disuso le mascherine». Il timore è che «la gente abbia perso fiducia nella scienza», un fenomeno al quale ha contribuito il costante battibeccare degli scienziati che ha fatto passare una comunicazione pubblica confusionaria, come aveva anche ribadito l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco: «Finché la comunicazione era univoca, “il virus c’è e fa male, punto” – dice Ippolito – i cittadini hanno seguito le raccomandazioni. Poi sono cominciate le divisioni e la confusione può aver creato una rilassamento nei comportamenti, che invece sono fondamentali per tenere a bada il virus».
La preoccupazione di Ippolito non trascende nell’allarmismo, che su una possibile seconda ondata di contagi in autunno non azzarda previsioni: «Non rispondo né sì né no. Il virus non è morto, è contagioso come prima e può riprendersi». Con i numeri dei casi gravi abbattuto sotto la soglia di allarme, l’attenzione ora deve concentrarsi sul contenimento dei focolai interni, ma anche sui rischi esterni, perché si eviti di importare il virus da Paesi dove «il sistema di tracciamento non è affidabile come il nostro».
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