Malika Ayane: «Alzare l’asticella, non essere pigri: cosa ha insegnato Morricone alla mia generazione» – L’intervista
È morto il compositore italiano che scrisse la colonna sonora che fa “ah-ee-ah-ee-ah”. Il titolo del Washington Post è stato un modo un po’ maldestro di ricordare Ennio Morricone. Eppure chiarisce bene una cosa: quanto questo compositore sia entrato nella cultura popolare. Le sue musiche hanno superato i film per cui sono state scritte e sono entrate da sole nel nostro immaginario. Letta così, l’eredità di Morricone è ancora più difficile da portare avanti. Soprattutto per le nuove generazioni di musicisti in Italia. Oltre alle colonne sonore, Morricone infatti si è dedicato per anni anche all’arrangiamento di brani di musica leggera, da Se telefonando di Mina a La Solitudine di Laura Pausini. Un’eredità di cui abbiamo parlato con Malika Ayane, tra le più raffinate e popolari cantautrici dei nostri anni.
Nel 2010 ha consegnato a Ennio Morricone il David di Donatello per la colonna sonora di Baarìa. Come si ricorda quel momento?
«Una grande emozione. Ero stata invitata per fare un’esibizione del brano La prima cosa bella. Questa canzone, nonostante avesse avuto un successo straordinario, non poteva essere candidata come miglior canzone originale perché era una cover. Non posso dire che è stato uno di quegli scambi che ti segnano per sempre, ma di certo per un ogni musicista essere nella stessa stanza con Morricone è un evento da segnare nella pagine della vita. Oggi l’ho raccontato a mia figlia con grande orgoglio».
Qual è stata la sua prima colonna sonora che ha ascoltato?
«La prima, quella di C’era una volta in America, devo averla sentita nominare dalla mia famiglia: le sue composizioni sono passate da una generazione all’altra, da un contesto all’altro, senza mai perdere di modernità. Anzi».
Come Morricone anche Hans Zimmer è stato uno dei compositori più importanti di questa epoca per il cinema ma, a differenza del maestro italiano, le sue colonne sonore non sono entrate nella cultura popolare…Perché?
«Hans Zimmer è un compositore puro di musica da cinema. Quello che fa è un commento all’immagine, una sorta di didascalia. Quello che faceva Morricone era costruire un dialogo tra la musica e le immagini. È come nel cinema di Sergio Leone, non si sa mai se riesce ad arrivare prima la musica o prima il film».
Qual è la formula della sua alchimia?
«Morricone ha trovato una chiave di comunicazione diversa dagli altri: ha studiato tantissimo, tante cose diverse ed è riuscito a comporre dalla musica pop a musiche più accademiche che riescono a comprendere fino in fondo solo gli accademici».
Oltre alle colonne sonore, Morricone si è occupato anche di arrangiare alcune delle canzoni più importanti della musica italiana.
«Pensiamo a Se telefonando di Mina: c’è un arrangiamento che parla. È una concezione quasi classica, vicina a quella di Puccini. Le parole di Se Telefonando sono più chiare con quella melodia e quando la ascolti è come se ti arrivasse un pugno nella pancia. E questa cosa o ce l’hai o non ce l’hai».
Nove anni dopo aver vinto l’Oscar alla carriera, Morricone ha vinto l’Oscar per la miglior colonna sonora. Una produttività fuori dal comune per un artista.
«Disciplina e duro lavoro. Lui stesso quando parlava di sé spiegava come la costanza, l’impegno e lo studio fossero fondamentali per essere un compositore. Mi sembra un buon messaggio anche per chi si vuole approcciare alla musica oggi».
Cosa ha lasciato Morricone a questa generazione di musicisiti italiani?
«Ci ha insegnato a continuare a studiare, ad alzare l’asticella. Perchè è bello pensare che la cosa migliore che si possa fare, la si debba ancora fare. Ci ha insegnato a non essere pigri».
E ora? Come ricordarlo?
«Riprendiamo in mano tutti i suoi dischi, e sentiamoci dei miracolati».
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