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In Serbia è di nuovo emergenza Coronavirus: aumentano i contagi e scoppiano le proteste – L’analisi dell’esperto

Le proteste sono scoppiate dopo che il governo ha annunciato di voler reintrodurre il lockdown. Ma i cittadini non vogliono pagare il prezzo per la riapertura precipitosa voluta dal presidente Vučić a maggio e accusano il governo di aver gestito male l'epidemia

Dopo i gilet arancioni e le manifestazioni anti-lockdown andate in scena in Spagna, in Germania e nel Regno Unito durante la Fase 1, ai margini dell’Europa si sono verificate nuove manifestazioni di massa – le più grandi e violente viste finora – in cui sono state violate le restrizioni introdotte per contenere il Coronavirus. Succede a Belgrado, in Serbia, dove durante la settimana hanno avuto luogo varie proteste, brutalmente represse dalla polizia.

A scatenarle martedì è stato l’annuncio da parte del premier Aleksandar Vučić del ripristino del lockdown – inizialmente soltanto per Belgrado, ma con l’obiettivo di estenderlo al resto del Paese – durante il weekend, dopo un nuovo aumento dei contagi. I manifestanti accusano il governo di aver truccato al ribasso i numeri dei casi a fine giugno per permettere ai cittadini di votare alle elezioni che hanno visto il partito di Vučić conquistare circa il 60% dei voti e un’ampia maggioranza in Parlamento.

Le proteste

Iniziate in modo pacifico fuori dall’Assemblea nazionale martedì sera, le proteste sono velocemente degenerate. La folla ha fatto irruzione nell’edificio ed è stata respinta con forza dalla polizia. Mercoledì migliaia di persone sono nuovamente scese in piazza, non soltanto a Belgrado ma anche in altre città, tra cui Nis e Novi Sad. Le foto e i video diffuse sui social  testimoniano la violenza degli scontri, per i quali ha espresso preoccupazione anche il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic.

Giovedì 9 luglio il governo ha accantonato l’idea di reintrodurre il lockdown – terminato ufficialmente a fine maggio – a favore di misure restrittive più limitate, tra cui il divieto di raduni di oltre 10 persone e la chiusura di negozi, pub, ristoranti, discoteche e altri spazi pubblici dopo le 21.

Migliaia di persone hanno comunque scelto di manifestare a Belgrado giovedì, inscenando un sit-in pacifico davanti al Parlamento, per segnare una discontinuità rispetto alle proteste violente dei giorni precedenti. In totale, 71 persone sono state arrestate e 14 membri delle forze dell’ordine sono rimasti feriti.

Stando agli ultimi dati forniti dalle autorità serbe, sarebbero 345 i casi di Covid confermati nelle ultime 24 ore, per un totale di 18.073 casi e 382 morti. Nel corso dell’ultima settimana sono stati registrati centinaia di nuovi contagi al giorno – a maggio il totale giornaliero si attestava attorno a 50 – tanto che il 6 luglio la Grecia ha deciso di chiudere le frontiere con la Serbia. In Italia, invece, la Serbia era stata inserita nella cosiddetta “lista verde” dei paesi da e verso i quali ci si può muovere liberamente dal primo luglio.

L’analisi

Per Francesco Strazzari, professore di Relazioni Internazionali alla Scuola universitaria superiore di Sant’Anna di Pisa, per anni attento osservatore e studioso dei Balcani, le forze progressiste che sono scese in piazza per manifestare contro la gestione dell’epidemia da parte del governo sarebbero state affiancate da gruppi di estrema destra a cui la polizia avrebbe lasciato ampio margine d’azione. Sono diverse le testate internazionali – come la Bbc – che nei giorni scorsi hanno fatto riferimento a gruppi di “ultra-nazionalisti”.

«L’elemento provocatorio ha una lunga storia in Serbia – spiega Strazzari – legata al partito radicale serbo e ai rapporti poco chiari tra i movimenti di piazza e il ministero degli Interni. Quella di questi giorni è la risposta istintiva dei settori urbani medio progressisti davanti alla notizia di nuove restrizioni, a cui si sono aggiunti gruppi di estrema destra che, prendendo d’assalto il governo, creano il pretesto per una reazione violentissima».

Secondo Strazzari ciò che sta succedendo in Serbia è tipico di quando, in contesti di emergenza epidemica in cui non c’è un vaccino, viene meno un elemento cruciale, ovvero la fiducia nel sistema politico. Con il risultato che i settori che hanno un interesse politico contingente a contestare il governo cercano di cavalcare uno scardinamento delle fasce di popolazione più vulnerabili, che più hanno subito l’epidemia, facendo leva sul concetto del popolo contro l’élite.

«Lo chiamo Covid populismo – continua Strazzari – una variante del populismo che sfrutta l’ondata emotiva per far saltare ulteriormente i criteri di destra contro sinistra».

Foto di copertina: Twitter

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