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Coronavirus. I neonati possono essere contagiati dalle madri? Perché l’ipotesi preoccupa i ricercatori

14 Luglio 2020 - 17:02 Juanne Pili
I bambini continuano a essere un enigma quando si studiano i casi di Covid-19, fin dal momento della nascita. Ecco cosa suggeriscono alcuni studi preliminari

La situazione delle donne in gravidanza positive al nuovo Coronavirus ha interessato diversi studi, per lo più osservazionali, esplorando anche l’eventualità che la Covid-19 porti a complicanze durante il parto. I riscontri al momento sono pochi, come quelli riguardanti uno studio guidato dal professore di immunologia Claudio Fenizia, dell’Università di Milano.

Al momento il paper non è disponibile, possiamo fare riferimento a quanto riferisce il Washington Post in un recente articolo. Il team di Fenizia avrebbe individuato in un piccolo gruppo di 31 donne in gravidanza, gli anticorpi specifici del nuovo Coronavirus, nel sangue del cordone ombellicale, nelle vagine e nel latte materno. Solo due neonati però sarebbero risultati positivi.

«Fenizia ha dichiarato che l’analisi – continua il Washington Post – è preliminare ed è stata afflitta da fattori che rendono non permettono ancora di trarre conclusioni per l’uso nella cura delle donne in gravidanza infettate dal virus».

Perché ci interessa monitorare le gravidanze

Al momento conosciamo alcuni report, riferiti alle donne in gravidanza nella zona di Wuhan, ma parliamo sempre di campioni molto ridotti. Del resto, diversi scettici fanno notare che al momento non è possibile capire se i pochi casi riscontrati si possano spiegare col contagio diretto dalla madre, oppure con le circostanze avvenute durante il parto, per esempio attraverso un cesareo.

Riuscire a ottenere studi più ampi con maggiori riscontri è importante anche per chi fa ricerca sulla sintrome MIS-C (multisystem inflammatory syndrome in children), che avrebbe interessato, secondo il Washington Post, circa 300 bambini americani. Si ritiene correlata alla Covid-19, ed è piuttosto simile alla malattia di Kawasaki. Di questo fenomeno ancora poco esplorato abbiamo avuto segnali anche in Europa.

In uno articolo apparso il 23 maggio su Am J Emerg Med, vengono presentati quattro case report riguardanti dei bambini americani risultati positivi alla Covid-19 mediante test sierologici, ma negativi all’analisi RT-PCR, che serve a identificare l’effettiva presenza del virus. Questi hanno avuto una «insorgenza improvvisa di instabilità emodinamica con elevati marker infiammatori sierologici e livelli di citochine». Gli autori ipotizzano quindi un rilascio di citochine innescatosi dopo l’infezione. Le caratteristiche dei sintomi erano simili a quelle riscontrabili nella Kawasaki.

Il mistero della malattia simil Kawasaki

Si potrebbe pensare a questo punto che siano i bimbi affetti da Kawasaki a essere più esposti alla Covid-19, ma questa ipotesi è ancora da dimostrare. Sembra ormai che non ci siano molti dubbi sul fatto che la MIS-C sia qualcosa di simile, ma diversa. I CDC americani (Centers for Disease Control and Prevention), hanno registrato casi da uno a sedici anni d’età. Al momento tra tutti i bambini colpiti negli Stati Uniti il 7% riguardava soggetti sotto il primo anno d’età.

In una pagina apposita dei CDC si precisa inoltre, che la sindrome è rara, ma viene ritenuta una grave complicazione associata alla Covid-19.

«Non sappiamo ancora cosa causa la MIS-C – continuano gli autori – Tuttavia, molti bambini con MIS-C avevano il virus che causa la COVID-19, o erano stati vicino a qualcuno con la COVID-19».

Al momento quindi, un collegamento causale deve essere ancora accertato. Non sarà un’impresa facile, perché per fortuna i bambini sono in generale i soggetti meno a rischio.

Foto di copertina: junaida279 | Famiglia e gravidanza.

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