Taranto, chiuso il call center delle «schiave del bisogno» – L’intervista
La storia che viene da Crispiano, Comune di 13mila abitanti in provincia di Taranto, fa rabbrividire. Venti lavoratrici – secondo il racconto di Andrea Lumino, segretario generale di Slc Cgil Taranto – lavorano «chiuse in un piccolissimo garage per 4,50 euro lordi l’ora», anziché «7,85 come previsto dall’accordo vigente». 3 o 400 euro al mese la posta in gioco: «Sono le schiave del bisogno, costrette a stare lì dentro per 4-6 ore al giorno, senza mascherina e in un ambiente che non rispetta di certo le condizioni di sicurezza imposte dal governo per contenere la pandemia da Coronavirus. Tutte ammassate per avanzare proposte di abbonamento ai clienti Tim», aggiunge Lumino a Open. Ieri, 15 luglio, come riferisce il quotidiano La Stampa, il call center è stato chiuso.
«Sfruttano il bisogno»
La situazione denunciata è quella di lavoratrici che non vogliono esporsi perché avevano paura di perdere il posto di lavoro. Nelle conversazioni private tra alcune di loro e il sindacalista, di cui Open è entrato in possesso, emergevano chiaramente tutte le loro preoccupazioni: «Adesso ho un piccolo lavoro, poi non avrò più nulla», «Non voglio darle l’indirizzo preciso del call center perché non voglio procurare danni a nessuno. Lasciate stare tutto».
«Il committente è la Tim che, però, se ne lava le mani, dice di non sapere nulla perché appalta ad altre società, come è accaduto in questo caso. Questa è una vergogna – ha detto il segretario generale di Slc Cgil Taranto – La Tim deve rispondere di questo fatto. Sfruttano il bisogno e la povertà acuite da questa crisi». E infine: «Tutti sapevano, anche il Comune che ha concesso l’apertura di un call center in quel garage. Ma come fanno ad averlo autorizzato? Come?», ha concluso.
Foto di Open
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