La vita sospesa dei bambini di Chernobyl bloccati dal Covid: «Fateci tornare, quelle in Italia sono le nostre famiglie» – Il video
Libertà, famiglia, possibilità. Quando i ragazzi di Chernobyl parlano dell’Italia, le parole che pronunciano più spesso sono queste. Tutto accompagnato da un grande sorriso che però si spegne, quando spiegano che quest’anno i programmi d’accoglienza terapeutica non ci sono più e che dovranno rimanere lì, nelle case famiglia in Ucraina e Bielorussia, «perché il Covid-19 ha contagiato troppe persone».
Viaggi di risanamento. È così che vengono chiamati i mesi che i bambini e ragazzi ucraini e bielorussi, provenienti dalle aree colpite dalla catastrofe nucleare di Chernobyl del 1986, trascorrono in Italia, tra l’affetto e la cura di famiglie affidatarie. Più di 35.000 minori arrivano dai territori contaminati per disintossicarsi dalle scorie radioattive, tra cui Cesio e Plutonio, tracce ancora troppo presenti di una tragedia indelebile, assorbite nell’organismo anche della generazione successiva al disastro. Il programma è iniziato per i bambini di allora e delle generazioni successive, anche se accompagna nella crescita quelli che nel frattempo diventano ragazzi. E anche chi oggi è un giovane adulto in molti casi ha tenuto un contatto più o meno stretto con le famiglie italiane.
Dasha: «Ho sentito subito disperazione»
Dasha è una “bambina” di Chernobyl. Ha quattordici anni, in casa-famiglia da quando ne aveva cinque. Viene da Aleksandrovka, 40 km dal luogo del disastro nucleare di 34 anni fa. Dall’Ucraina racconta di come ha saputo che quest’anno non sarebbe potuta partire per riabbracciare quella che, a tutti gli effetti, è la sua famiglia: «Ci hanno detto che era tutto bloccato per il Covid-19, e che non sarei potuta partire. Quello che ho sentito da subito è stata disperazione».
Quando Dasha pensa che, in condizioni normali, sarebbero stati già due i mesi trascorsi con la sua “mamma” e il suo “papà” in Italia, non riesce a trattenere il pianto. «Ci sentiamo quasi ogni giorno tramite WhatsApp, pensavano che sarebbero potuti venire loro qui da me, ma non è stato possibile neanche questo», racconta. Quest’anno sarebbe stato ancora più urgente partire. Ad aprile le aree circostanti la vecchia centrale nucleare hanno cominciato a bruciare. Un incendio boschivo che è andato avanti per giorni e che è si è esteso in modo pericoloso per 40 mila ettari attorno alla zona del disastro.
Lo stop al confine
Le misure straordinarie anti Coronavirusdisposte in Ucraina e Bielorussia, ma anche in Italia, hanno sospeso ogni programma di accoglienza. Nonostante il parere positivo da parte del Ministero della Salute e degli Affari Esteri sulla ripresa dell’accoglienza lo scorso 25 giugno, i viaggi non sono mai ripresi. La Bielorussia (che per la vicinanza geografica è sempre stata coinvolta nei programmi di assistenza post catastrofe nucleare) non è rientrata nella lista dei Paesi fuori zona Schengen a cui è stato permesso di far circolare di nuovo i propri cittadini all’interno dell’Unione Europea.
Situazione altrettanto complicata anche per l’Ucraina, che fino al 15 giugno aveva inserito l’Italia nei Paesi della “zona rossa”, quelli a cui chiudere il confine, distinti dalla “zona verde” secondo il numero di casi attivi di Covid-19 su 100mila abitanti. Dal 22 giugno l’Italia è poi rientrata nella “zona verde”, condizione che le autorità ucraine hanno considerato fin da subito soggetta a variazioni, a seconda dell’evoluzione del quadro epidemiologico. In tutto ciò i programmi di risanamento non sono mai stati sbloccati. «Il Consiglio Europeo ha previsto che, in situazioni di particolare importanza e valore sociale, si possa fare comunque ingresso in un Paese dell’Ue.
Nonostante si tratti di viaggi umanitari, il Comitato dei Minori ha comunicato con una mail, ad alcune Associazioni che si occupano di accoglienza, la sospensione dei progetti per tutta l’estate», denuncia il gruppo Famiglie Accoglienti. «Ogni anno migliaia e migliaia di famiglie accolgono in tutta Italia, durante l’estate e nel periodo natalizio, i bambini orfani», continuano le Famiglie, «che nel nostro Paese intraprendono un percorso di risanamento fisico e psicologico.
Fisico, grazie ad una corretta alimentazione e all’aria incontaminata, che permette loro di ridurre gli effetti delle radiazioni del disastro nucleare di Chernobyl, e psicologico perché vivono il valore dell’amore incondizionato che una famiglia può regalare». La lettera con cui le Famiglie Accoglienti si appellano alle autorità chiede l’apertura di un tavolo tecnico che valuti la ripartenza di bambini e ragazzi a partire già dal mese di agosto.
Nel frattempo Dasha chiude gli occhi e immagina di essere già in Italia, «con la mia famiglia a scherzare e parlare tutti attorno a un tavolo, come fosse Natale». Parla di «possibilità nuove, cose da poter vedere e scoprire che qui non mi fa vedere nessuno» e degli abbracci che quando arriva nella sua casa in Puglia, la accolgono. «Ti fanno sentire proprio … bene», spiega portandosi le mani al cuore.
In Italia c’è Francesco Galeano, il “papà”, che insieme a tutta la famiglia, aspetta Dasha con impazienza. «È la mia terza figlia a tutti gli effetti. Quando abbiamo dovuto comunicarle il problema dei viaggi sospesi è stata molto dura. Pensarla lontano da noi e dalle cure che possiamo offrirle è un dolore costante», racconta. La famiglia di Francesco accoglie Dasha da sette anni. «Un’esperienza di vita e un legame speciale che in questo momento è messo a dura prova. Speriamo possa ripartire tutto almeno per il periodo invernale», continua Francesco.
La nuova vita di Vova
E a spiegare le difficoltà c’è anche il dott. Renato Nuzzolo, medico e fondatore della Onlus Fratello Sole, che da più di dieci anni si occupa dei “bambini di Chernobyl”, coinvolgendo in una catena di solidarietà la gran parte delle regioni italiane. «Per questi ragazzi poter venire in Italia significa spesso riuscire a salvarsi da condizioni difficilissime, in primis cliniche, e poi ovviamente anche psicologiche e sociali».
Il dott. Nuzzolo ha vissuto in prima persona l’esperienza di un’accoglienza che si è trasformata in una missione di salvezza. Vova è il bambino che a cinque anni e mezzo entrò a casa sua, ora un ragazzo. «Di un villaggio a 30 km da Chernobyl, lo accolsi in casa in un periodo molto difficile della mia vita, che fu poi stravolta in maniera positiva. Vova aveva seri problemi di udito, così come suo fratello, completamente sordo. La sua famiglia in Ucraina aveva pochissime possibilità di aiutarlo, così come anche il sistema sanitario. Abbiamo fatto ricerche tra le generazioni passate del suo nucleo familiare, nessun caso del genere. Una mutazione genetica dovuta al disastro nucleare, come se ne vedono tantissime in quelle zone, e che ha colpito entrambe i bambini nati». Le protesi acustiche ora permettono a Vova di ascoltare il 70-80% di quello che gli succede attorno. «Alla mia famiglia devo tutto», a parlare adesso è lui.
Ha 28 anni, fa l’informatico e dalla maggiore età ha deciso di studiare e trasferirsi in Italia definitivamente. Per lui l’arrivo in Italia è stata la salvezza anche quando a 20 anni ha scoperto di avere un tumore al mediastino. «Linfoma di Hodgkin è stata la diagnosi del Policlinico di Napoli. Poi il San Matteo di Pavia ha accettato di curarmi. Tra chemioterapie e trapianti di cellule staminali, ho vinto la battaglia».
La seconda generazione che si ammala – Gli studi
Il più ampio rapporto scientifico pubblicato dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, riguardante l’impatto a livello sanitario del disastro di Chernobyl, risale a vent’anni dopo l’accaduto. 5.000 tumori tiroidei registrati, 9.000 morti per cancro tra gli evacuati e i residenti delle zone ad alta e bassa contaminazione. 5 milioni le persone che vivono ancora oggi in zone inquinate da materiali radioattivi.
Lo studio indipendente diretto dal medico e ricercatore bielorusso Yury Bandazhevsky sui bambini delle aree contaminate dell’Ucraina è ancora più recente. Nel 2016 il centro di Ecologia e Salute ha esaminato 3000 bambini e ragazzi riscontrando nell’85% di loro disturbi cardiocircolatori. Nel 55% alterazioni tiroidee, mutazioni genetiche provocate dalle radiazioni ancora presenti. Bandazhevsky ha poi constatato come attraverso gli alimenti i bambini assumessero piccole dosi di Cesio-137, letale per gli organi interni con il passare degli anni.
Considerati i dati, i viaggi terapeutici per i bambini e i giovani di Chernobyl continuano ad essere di fondamentale importanza. Dalle analisi svolte regolarmente sui bambini ospitati dalla Fondazione “Aiutiamoli a Vivere” con sede in Lombardia e Trentino, si evince come il periodo trascorso in Italia si traduca, nella maggior parte dei casi, in un abbattimento della concentrazione di Cesio-137 nel corpo tra il 30% e l’80%.
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