«Mio figlio insultato e spintonato perché mulatto. Vi racconto l’incubo di essere neri in Italia» – L’intervista
«Ma cosa venite a fare in Italia? Tornatevene al vostro Paese»
«Ma io stavo solo aiutando la signora»
«Vai via»
«Me ne vado ma non ho fatto nulla di male».
Questo è il dialogo tra un ragazzo di 15 anni – «mulatto e con i dreadlocks» (il padre è senegalese, la madre italiana) – e un uomo sui 40, sul viale di Grugliasco, comune di 37 mila abitanti in provincia di Torino. La “colpa” del giovane? Quella di aver aiutato una donna che poco prima era svenuta in strada. «L’ha preso al volo, le ha prestato il primo soccorso, le ha tirato su le gambe e le ha dato anche dell’acqua. Comportamenti che aveva appreso durante una lezione di primo soccorso alle medie», ci racconta la madre Katia. I fatti si sono verificati il 15 luglio. Si tratta dell’ennesimo episodio di razzismo.
«Questa storia non cambierà mai»
A mandare su tutte le furie l’uomo (un passante) – che ha addirittura «spintonato il ragazzo» – è stato il colore della pelle del 15enne: «Non è la prima volta che viene insultato o fermato dalle forze dell’ordine a causa del colore della sua pelle» ci spiega la madre del ragazzino. «Quel giorno mio figlio è tornato col magone a casa, gli veniva da piangere e mi ha detto: “Questa storia non cambierà mai, è la solita storia”. Durante le partite di calcio lo chiamano “neg*o di merda” anche per un banale fallo di gioco. Durante una gara podistica, a scuola, in tre, tutti più grandi di lui, lo hanno buttato a terra chiamandolo “neg*o”. E gli hanno pure fatto perdere la gara».
«Perché mi hai fatto nero?»
«”Perché mi hai fatto nero? Non potevi farmi bianco?” mi ha detto una volta tornato a casa. E questo da mamma fa male. Io ho paura quando esce, ho paura che gli possa succedere qualcosa. E poi deve sempre uscire di casa con un documento d’identità: quando è con i suoi amici le forze dell’ordine lo fermano e lo controllano. Pensano magari che spacci droga. Perché proprio lui? Forse perché è mulatto?» ci confessa.
«C’è ancora odio razziale»
Katia continua a combattere questa “guerra” ma, dopo 15 anni, è stanca. «Quando ho conosciuto mio marito, che è senegalese, ci guardavano in modo strano. Mi dicevano “guarda quella, sta con il nero”. Ma erano gli anni ’90, adesso le cose dovrebbero essere diverse e invece… C’è ancora odio razziale».
Foto in copertina di Open
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