La lunga notte dell’Unione europea. Così si infrage il sogno di una risposta compatta al Coronavirus
Dopo tre giorni, il Consiglio europeo che doveva fare la storia continua ad andare male, un stallo negoziale che dimostra la totale mancanza di una sincera volontà di superare le storiche resistenze. Niente di fatto per capire come farà l’Unione europea ad affrontare la crisi economica post Coronavirus. Dopo due notti di discussioni e una domenica passata a rinviare l’assemblea plenaria, arriva la terza notte di negoziati da proseguire a oltranza.
Il gruppo dei Paesi frugali insiste per un fondo composto da 350 miliardi di euro in sovvenzioni a fondo perduto, da affiancare ad altri 350 miliardi in prestiti per un totale di 700 miliardi di Recovery Fund. I Paesi meridionali, in primis la Francia, vogliono che le sovvenzioni arrivino almeno fino a 400 miliardi su 750 totali.
Resta poi la questione della governance e delle condizionalità, ma giunti a questo punto raggiungere un compromesso almeno sull’entità del fondo sarebbe già un risultato. La strategia dei frugali sta avendo successo: più a lungo la trascinano, più concessioni riusciranno a ottenere.
L’importanza del vertice di questi giorni per il futuro dell’Ue
Non è la prima volta che durante un vertice europeo non si raggiunge un accordo nemmeno dopo giornate intere di negoziati, né che si rinuncia a fare un passo avanti verso una maggiore integrazione davanti alla chiusura di un gruppo ristretto di Paesi o interessi. Stavolta però il momento era davvero storico, unico e (si spera) irripetibile: l’interno continente è stato colpito da un pandemia che ha sconvolto tutte le regole precostituite, una crisi sanitaria che ha portato a una crisi istantanea del sistema economico e dell’organizzazione della vita sociale.
L’Italia ha subito un’ondata improvvisa e devastante di Covid-19 nella regione nucleo industriale della sua economia, e di fronte all’impatto di una crisi imprevista, i partner europei hanno prima minimizzato e in alcuni casi ironizzato sentendosi al riparo, per poi concentrarsi solo sui se stessi quando il Covid-19 ha raggiunto anche loro. Altrettanto rapidamente però si è iniziato a prendere atto del problema comune, e della necessità di agire mettendo da parte le solite antipatie e diffidenze reciproche.
Quando il 27 maggio Francia, Germania e Commissione europea proposero un colossale fondo per il rilancio europeo, composto da prestiti e sovvenzioni a fondo perduto di entità straordinaria si era parlato di una svolta nella storia europea. Ancor prima che fosse superata la fase più acuta della pandemia però, la solita geografia Nord contro Sud dell’Unione europea e tornata a manifestarsi, fino ad arrivare a questo lungo fine settimana.
Il momento della concordia, se mai c’è stato, è finito in fretta
Il vertice del sogno europeo si è trasformato in una lunga serie di negoziati multipli secondo il solito format “cicale” contro “formiche”, stavolta nella versione “gruppo dei frugali” (Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia) contro Paesi inaffidabili nell’attuazione di riforme economiche (in particolare Italia e Spagna), arricchito dalla new entry dei Paesi che non rispettano lo stato di diritto (Ungheria e Polonia). Tutto per arrivare alla terza notte consecutiva di negoziati per decidere come spostare quelli che di fronte alle dimensioni dell’economia europea sono poche decine di miliardi.
A questo punto è inutile sperare nell’intervento risolutivo della Cancelliera tedesca Angela Merkel e del Presidente francese Emmanuel Macron, se il Consiglio europeo straordinario sul Recovery Fund è diventato un poco credibile “i quattro frugali contro tutti” evidentemente anche Berlino e Parigi possono convivere con un pacchetto meno ambizioso. Ripensare adesso alle solenni dichiarazioni fatte da Merkel-Macron a Meseberg fa quasi sorridere, la Cancelliera tedesca, presidente di turno dell’Ue, sembra quasi assente.
Chiaramente era impossibile pensare di mettere tutti d’accordo con un solo vertice, perciò chiudere questo weekend di sabato con un compromesso sull’entità del fondo e il rapporto prestiti/sovvenzioni, rimandando le decisioni sulla governance a fine luglio, sarebbe stato considerato sufficiente. Adesso un risultato del genere è diventato auspicabile e sarebbe quasi liberatorio, ma al momento tutt’altro che scontato.
L’unica certezza è il fallimento delle buone intenzioni millantante dai leader europei durante la crisi pandemica, e per i Paesi più colpiti dalla recessione le conseguenze economiche e politiche non tarderanno ad arrivare.
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