Se un vaccino contro il Coronavirus esistesse già? L’affascinante ipotesi (da confermare) dell’immunità cellulare
Avevamo già accennato – discutendo assieme a diversi esperti sull’opportunità o meno di un vaccino obbligatorio contro il nuovo Coronavirus – della possibilità dell’immunità umorale per il Covid-19 (basata sugli anticorpi), ma esiste anche quella cellulare, detta immunità cellulo-mediata. Questo secondo tipo di protezione contro i patogeni è conosciuta, ma potrebbe funzionare anche per il Coronavirus? Per il SARS-CoV2 si sono già viste alcune evidenze, ma come spiega il virologo Roberto Burioni in un recente articolo su MedicalFacts, «per ora sappiamo con ragionevole certezza che esiste (e non è poco), ora dobbiamo correlarla, attraverso studi rigorosi e non con comunicati stampa, con le caratteristiche cliniche dell’infezione».
Come funziona l’immunità cellulo-mediata
Il Sistema immunitario deve innanzitutto riconoscere l’antigene, usato da SARS-CoV2 (la glicoproteina Spike), per infettare le cellule. I linfociti B (cellule B) producono quindi gli anticorpi specifici (immunoglobuline M e G); ma intervengono anche i linfociti T (cellule T), queste possono determinare anche la presenza delle cellule B, e dei macrofagi, in grado di fagocitare i patogeni.
L’immunità cellulo-mediata in genere può implicare anche la presenza di cellule NK (natural killer), le quali attaccano le cellule infette, uccidendole o mandandole in apoptosi (morte programmata). A seguito di questi processi vengono prodotte le citochine, le quali coordinano la risposta immunitaria attirando nuovi linfociti, si crea quindi una infiammazione. In alcuni pazienti può generarsi così un ulteriore danno dovuto alla produzione eccessiva di queste sostanze, tristemente noto come tempesta di citochine, che caratterizza le forme gravi di Covid-19.
Alla luce di questi meccanismi, un eventuale vaccino basato sulla risposta cellulo-mediata del nostro organismo, non ci esporrebbe a eventi avversi dovuti alle citochine in eccesso. Oltretutto, come vedremo, i candidati ideali sarebbero i coronavirus attenuati del comune raffreddore. Quindi, quando parliamo di immunità cellulare nell’ottica di combattere la Covid-19, intendiamo principalmente le cellule T.
Salvati da un raffreddore?
Diversi studi hanno esplorato le ragioni per cui solo una piccola parte dei pazienti sviluppa forme gravi della malattia. Altre ricerche mostrano in gruppi significativi di persone mai state positive al SARS-CoV2, la presenza di cellule T. Come si spiega? «Non lo sappiamo con certezza – continua Burioni – ma l’ipotesi più probabile è che questa immunità sia stata suscitata da altri quattro coronavirus (chiamati HCoV-OC43, HCoV-HKU1, HCoV-NL63 e HCoV-229E) che sono responsabili di comuni – e banali – raffreddori che tutti quanti abbiamo prima o poi incontrato nella vita».
Dunque nella popolazione potrebbero esserci persone protette da cellule T ereditate da precedenti raffreddori. Ma che questi precedenti malanni possano proteggerci anche dal nuovo Coronavirus o almeno mitigarne gli effetti, è ancora tutto da dimostrare. Supponendo che tale eventualità venga accertata, questo significherebbe che un vaccino – basato su coronavirus comuni attenuati – esiste già. Come avevamo visto in un articolo precedente, non tutti i vaccini contengono virus attenuati.
Solitamente si preferisce utilizzare i soli antigeni, o frammenti di virus; quelli più sofisticati utilizzano vettori virali (dunque modificati per non essere infettivi), per veicolare la somministrazione di mRNA, contenente l’informazione per far produrre gli antigeni al nostro organismo. Questo va bene se vogliamo stimolare la produzione di anticorpi. Per indurre l’immunità cellulare occorre che il patogeno ci sia davvero, anche se reso inoffensivo, per quanto responsabile di un banale raffreddore. Non ci resta che attendere – mantenendo i piedi per terra – eventuali conferme future.
Foto di copertina: NIAID/NIH | Linfocita T.
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