A 23 anni vince 32 mila dollari su HearthStone. Ecco Leta, il gamer italiano fra i campioni del mondo – L’intervista
Di solito questi tornei si giocano dal vivo. Ci sono i commentatori (caster, in gergo), il pubblico che urla, si sorprende e festeggia i risultati e soprattutto loro, i gamer: su un palco, un po’ nascosti dai loro schermi. Ma il Coronavirus ha cambiato anche il mondo degli esport. E così il 19 luglio Simone “Leta” Liguori ha vinto l’Hearthstone Apac Masters Tour dalla sua casa di Napoli, sconfiggendo il giapponese Nozomi “Alutemu” mentre migliaia di persone erano collegate in streaming a guardarlo.
Hearthstone è un titolo sviluppato dalla statunitense Blizzard e lanciato nel 2014. È un gioco di carte online basato sull’universo di World of Warcraft, il gioco di ruolo a tema fantasy più famoso del mercato. Leta è il migliore talento italiano in questo titolo. Nel torneo Apac non solo ha vinto il premio di 32mila dollari assicurato al vincitore ma anche il primato di essere stato il primo azzurro a portare a casa un titolo nel circuito Masters Tour, la massima lega di Hearthstone.
So che non è facile. Riesci a spiegarci come funziona Hearthstone in un paio di frasi?
«È un gioco di carte strategico con un fattore molto alto di Rng: Random number generation. In pratica c’è una componente di casualità parecchio importante. Come dinamiche di gioco forse potrebbe richiamare Magic: i giocatori iniziano con lo stesso numero di punti salute e possono evocare creature e incantesimi. Ma sarebbe grossolano avvicinarli».
Ti ricordi la prima partita che hai fatto a questo gioco?
«Non proprio. Ho iniziato a giocare in modo casuale nel 2015. Andavo al liceo e giocavo almeno 5 ore al giorno. Per imparare seguivo una streamer americana, si chiamava Hafu. Dico sempre che è stata la mia Senpai, la mia maestra».
Quando sei diventato un professionista?
«Da quando ho iniziato la scena italiana è cresciuta molto. Io andavo bene nei tornei e così ho cominciato a ricevere richieste da diversi team. Nel 2018, quando avevo 22 anni. Ho firmato un contratto con il team con cui lavoro ancora adesso: i Samsung Morning Stars. Ora sono un gamer professionista a tempo pieno».
La tua giornata tipo
«Gioco tutti i giorni a HeartStone. Ultimamente un po’ meno ma se non ci sono tornei in programma non è così importante giocare. Cerco di accompagnare la professione del pro gamer con quella di streamer su Twitch. Diciamo che oltre lo stipendio del team, le mie entrate si basano anche sulle persone che mi guardano giocare e decidono di fare delle donazioni».
Cosa serve per essere un atleta di esport?
«Dipende da quale videogioco stiamo parlando. In HeartStone ad esempio è fondamentale il mindset: bisogna essere positivi, affamati di vincere ma allo stesso tempo bisogna essere tranquilli sul fatto che a volte, semplicemente si possa pescare male delle carte».
Sei il primo italiano che ha vinto l’Apac. Cosa vuol dire per te?
«È stato importante, ma al momento non vuol dire ancora niente di particolare. Diciamo che alla fine di quest’anno ho buone chance di diventare Grandmaster, i migliori giocatori di ogni continente. Al momento sono primo in Europa, dove la competizione è più agguerrita».
E cosa vuol dire per l’esport italiano?
«Nella community italiana è una cosa pazzesca che un italiano abbia fatto così bene. In passato solo Salvatore “Pignas” Pignolo era riuscito ad arrivare a un livello simile, classificandosi al secondo posto di un torneo del genere. Io sono benvoluto anche dalla scena estera. Secondo molti meritavo di vincere questo premio».
In molti esport la carriera dei professionisti difficilmente arriva dopo i 30 anni. Tu cosa farai dopo HearthStone?
«Di solito questo vale per i giochi in cui i riflessi sono fondamentali. Non è il caso di HearthStone, anzi. Un giocatore con più esperienza può anche fare meglio di quelli più giovani. Finchè il gioco campa, io ci sarò come giocatore. Magari potrei cambiare per un altro titolo simile, basato sempre sulle carte. Ma non vedo altri competitor al momento».
Negli ultimi anni si il Comitato olimpico internazionale (Cio) ha iniziato a guardare con interesse gli esport. Ti vedresti come campione olimpico?
«Spero che le Olimpiadi e gli esport si muovano in quella direzione. Essere degli atleti di esport non è lontano da essere degli atleti di sport tradizionali. Certo, non c’è la parte fisica ma sotto l’aspetto mentale e di preparazione le dinamiche sono le stesse. Sia noi che gli sport olimpici abbiamo solamente da guadagnarci. Mi piacerebbe rappresentare l’Italia in una competizione del genere».
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