Gli Stati Uniti hanno un problema con le morti violente delle persone transgender o non binarie
Marilyn Cazares, Summer Taylor, Bree Black: il 13 luglio scorso, il 4 e il 3 i loro corpi sono stati trovati senza vita. Quello di Marilyn a Brawley, in California. Quello di Summer a Seattle, nello Stato di Washington. E quello di Bree a Pompano Beach, in Florida. L’unica cosa che avevano in comune era essere persone transgender o non binarie. Persone che sono state uccise. Secondo i dati raccolti dalla Human Rights Campaign (Hrc) dall’inizio del 2020 a oggi negli Stati Uniti sarebbero 22 le morti violente che hanno coinvolto transgender o gender nonconforming. In tutto il 2019 erano state 27.
Secondo Hrc l’attenzione dovrebbe essere concentrata soprattutto sulle donne transgender afroamericane. Di tutte le morti violente registrate dal 2013 a oggi negli Stati Uniti che hanno coinvolto persone trans, il 67% riguarda proprio le donne afroamericane. La rivista The Lily ha pubblicato gli interventi di diversi attivisti e attiviste che stanno cercando di capire le ragioni di fondo di questa violenza, come Charlotte Clymer:
«Esistono barriere sistemiche che consentono questa epidemia di violenza contro le persone trans. C’è la discriminazione sul lavoro, nella scelta di una casa o anche nella concessione di un credito. Se non riesci a ottenere un impiego e una casa sei a maggior rischio di violenza».
Una tesi con cui concorda anche Beverly Tillery, direttrice esecutiva del progetto Anti-Violenza della città di New York: «Non dobbiamo solo parlare degli omicidi. Dobbiamo interrompere anche l’altra violenza. Sono le molestie sulla strada, le risate in metropolitana o il bullismo. È la violenza quotidiana a permettere che gli omicidi accadano».
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