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Inchiesta sui camici in Lombardia, la versione di Fontana: «Storia pazzesca: volevo solo fare una donazione»

26 Luglio 2020 - 09:23 Redazione
Il presidente della Lombardia mette le mani avanti. Sulle "donazioni" e sulle accuse di conflitto d'interessi taglia corto: «Non vedo il reato»

Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, ha parlato in merito alla sua iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Milano, che sta lavorando sul caso della fornitura dei camici in Lombardia. La questione è intricata e ha attirato l’attenzione dei magistrati – complice anche un’inchiesta di Report sugli appalti indetti dalla Regione. «Ma qual è il reato? – si sfoga sulle pagine de La Stampa – Questa storia è pazzesca».

In breve: il cognato – indagato – di Fontana, Andrea Dini, titolare della società Dama (di cui fa parte anche la moglie del presidente di giunta, Roberta Dini, al 10%), ha firmato un contratto con la Regione per la fornitura di camici pari a 513mila euro. L’appalto, «svincolato dalle normali procedure di gara causa Covid», viene scoperto dai giornalisti e Fontana induce il parente a trasformare quei soldi in “donazioni” alla Regione.

La magistratura viene poi a conoscenza di un tentato trasferimento di denaro «sospetto» (per le norme antiriciclaggio) dal conto (scudato) di Fontana in Svizzera indirizzato all’iban del cognato – che, da quanto emerge, non ne era al corrente. Le autorità dell’anti riciclaggio segnalano il caso alla Banca d’Italia che, di tutta risposta, gira le carte alla Procura. Che, a quel punto, fa partire l’inchiesta.

La donazione

A complicare di più la posizione di Fontana c’è che, dopo le spiegazioni richieste dalle autorità, l’11 giugno il presidente della Lombardia revoca il bonifico. «Di solito le persone finiscono indagate perché prendono dei soldi illecitamente», lamenta. «Io invece rischio di passare alla storia come il primo politico che viene indagato perché i soldi ha cercato di versarli». Gli inquirenti però non credono all’equivoco e al fatto che Fontana non fosse a conoscenza né dell’incarico né che fosse coinvolto il cognato (e, in parte, sua moglie). Anche adesso Fontana nega di averlo saputo all’epoca, e di esserne venuto a conoscenza solo al momento della “donazione”.

«Certo – dice ora a La Stampa – quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch’io. Fare anch’io una donazione. Mi sembrava il dovere di ogni lombardo». Per ora la giunta leghista trema ma non sembra cedere così tanto da pensare alle dimissioni: «Perché alla fine la Regione da mio cognato i camici li ha avuti gratis – dice Fontana – e l’unico reato che vedo veramente è una palese violazione del segreto istruttorio e per questo probabilmente mi rivolgerò ai magistrati di Brescia».

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