Camici in Lombardia, Fontana: «I soldi in Svizzera sono risparmi di mamma e papà. Ho usato lo scudo rispettando le leggi»
Il governatore della Lombardia Attilio Fontana offre una parziale risposta a uno degli interrogativi sollevati dall’inchiesta sui camici nella quale è indagato, ovvero: da dove vengono i 5,3 milioni ereditati dalla madre e nascosti al fisco italiano in un conto in Svizzera, spostati in un trust alle Bahamas e infine regolarizzati con uno scudo fiscale nel 2015? «Mia mamma e mio papà hanno lavorato tutta la vita e quando mamma è morta ho deciso, rispettando le leggi di questo Paese, di utilizzare lo scudo che un governo di centrosinistra aveva deciso di offrire», ha dichiarato il presidente della Lombardia ai microfoni del TgR. Una risposta che lascia intendere che i soldi contenuti nei conti all’estero fossero frutto dei risparmi di entrambi i genitori, accumulati «grazie al loro lavoro».
I soldi ereditati dai genitori
Per il momento non è dato sapere altro rispetto alle origini precise dei fondi in questione e del perché fossero stati portati in un paradiso fiscale. Il presidente Fontana non ha fornito ulteriori spiegazioni neppure durante il suo intervento nell’aula del Consiglio regionale dove si è presentato in mattinata per ricostruire la vicenda della fornitura-donazione di camici alla Regione da parte della società Dama, gestita da suo cognato Andrea Dini e di cui sua moglie detiene il 10% delle quote, che lo vede indagato di frode. Una fornitura per la quale Fontana avrebbe mobilitato circa 250 mila euro proprio dal conto ereditato dalla madre in un primo momento, per «alleviare l’onere dell’operazione» effettuata dal cognato dopo averlo convinto a «rinunciare al pagamento, per evitare polemiche e strumentalizzazioni», come ha dichiarato lo stesso Fontana in consiglio davanti alle opposizioni che chiedono le sue dimissioni.
Le critiche alla stampa e i dubbi sul processo
Ai micfroni del TgR Lombardia, Fontana ha ribadito di non essere stato a conoscenza dell’esistenza del contratto fino al 12 maggio. «Ho chiesto a mio cognato la disponibilità a trasformare il contratto, lui ha detto di sì e a quel punto ho deciso di contribuire nella donazione», racconta. Sbagliato però parlare di “giustizia ad orologeria”, risponde Fontana al TgR, piuttosto sono «certi articoli» ad esserlo. Rispetto all’esito del processo il governatore ostenta meno sicurezza. «Non so come finirà, ma sicuramente io continuerò, l’unica certezza è quella», conclude con filosofia.
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