Caso camici in Lombardia: «La centrale acquisti della Regione bloccò la donazione»
Nuove indiscrezioni dall’inchiesta camici in Lombardia, in cui è indagato il presidente della Regione Attilio Fontana. Sarebbe stato l’ufficio legale di Aria, la centrale acquisti di Regione Lombardia, a dare il parere negativo e quindi a non accettare la donazione di camici da parte della Dama, società di cui il cognato del governatore, Andrea Dini, è amministratore delegato e la moglie di Fontana ha una quota del 10%. Il particolare emerge dalle indagini sulla vicenda della fornitura di 75 mila camici, e altri dispositivi di protezione individuale, per oltre mezzo milione di euro e trasformata in corso d’opera in donazione.
Donazione di «non modico valore» che, secondo il codice, necessita dell’atto pubblico notarile e della presenza di due testimoni. Quindi non era sufficiente la mail mandata da Dini lo scorso 20 maggio all’allora Dg di Aria Filippo Bongiovanni per revocare il contratto di fornitura. In più, a contribuire al rigetto del cospicuo regalo è stato anche il conflitto di interessi. I pm che coordinano l’inchiesta – in cui tra gli indagati ci sono anche Dini, Bongiovanni (entrambi accusati anche di turbata libertà nella scelta del contraente) e una funzionaria di Aria – avrebbero concluso un primo giro di audizioni ieri, 27 luglio. Tra le persone ascoltate ci sarebbe stato anche un fornitore di tessuti per camici.
La Procura, infine, ha acceso un faro pure sul conto da 5,3 milioni del presidente della Lombardia, denaro ereditato dalla madre e poi scudato in Svizzera, da cui sarebbe dovuto partire il bonifico di 250 mila euro, poi bloccato in quanto operazione sospetta dall’Uif della Banca d’Italia, a titolo di risarcimento al cognato per il mancato profitto derivato dalla trasformazione della fornitura in donazione.
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