Che gli hater si arrendano: Taylor Swift con «Folklore» ha fatto bingo
Taylor Swift il 24 luglio scorso ha sfornato la sua ultima fatica: si intitola Folklore, è un album folk e ha già registrato più di 80 milioni di ascolti. La cantautrice di West Reading lo ha pensato, scritto e registrato durante un periodo in cui il mondo si è fermato: quello del lockdown dovuto alla pandemia Covid. Mentre tutto il mondo se ne stava lì, col fiato sospeso, a vedere scorrere le lancette dell’orologio nell’attesa di sapere quali infauste sorprese avrebbe riservato la giornata, Swift si è tirata su le maniche e ha lavorato. Quello che ne viene fuori è un disco bello, pulito, e, indipendentemente dai propri gusti, è difficile non apprezzare. Eppure, per la bionda ragazza della Pennsylvania questo sembra non bastare. Dalle retrovie della critica c’è chi storce il naso. È sui social che si consumano i giudizi più feroci: «Come può una ragazza che scrive canzonette pop, ergersi ad artista folk? Non è un album indimenticabile», dicono. La svolta “impegnata” pare preclusa a chi ha indossato paillettes e gloss per 15 anni di carriera. Ma non è solo questo.
Come si diventa Taylor Swift
A 16 anni aveva all’attivo 150 brani di repertorio. Conosceva la musica nell’accezione più ampia e profonda. Taylor Swift lo racconta nel documentario sulla sua vita, Miss Americana (Netflix). Sin dall’infanzia dice di aver costruito la propria esistenza su un sistema di valori basato «sull’accettazione, sull’essere ben voluta. Voglio essere una good girl», racconta in un passaggio del documentario. È a 12 anni che imbraccia la chitarra e comincia a cantare: la musica country è la sua specialità. La carriera va avanti, le soddisfazioni arrivano, nonostante negli anni la cantante venga spesso messa in discussione. Ancora una settimana fa è ritornato in auge un episodio della sua carriera passata. Quando, nel 2009, Kanye West era salito sul palco dei Video Music Awards di Mtv, irrompendo durante la premiazione della cantante, per dire che il videoclip di Swift non era all’altezza: Beyoncé, secondo lui, aveva fatto di meglio.
Da quel momento, e per motivi sempre diversi, Swift ha subìto diversi contraccolpi. Relegata a “ragazzina” del circuito canoro americano, ha vissuto questi anni di carriera facendosi strada non tanto con le unghie, ma con l’ostinazione e l’applicazione quasi maniacali. Verrebbe da dire che, nonostante le decine di milioni di copie vendute dei suoi dischi, potrebbe anche portarci la Luna, qualcuno avrebbe sempre qualcosa da dire. Certamente non è il curriculum a fare una persona, ma è da quando era alta poco più di un metro che macina successi. Ancora ragazzina ha ottenuto la registrazione della sua prima demo ed è finita sessantesima nella classifica statunitense dei cantautori country. Dei cantautori, sì, perché la musica se la scrive da sola. Da sempre. Testi, arrangiamenti, melodie sono il frutto di una pervicacia rara da trovare in un’epoca in cui l’autotune e i prestiti ottenuti grazie al talento di altri autori hanno spianato la carriera a tantissimi.
Rolling Stone ha scritto, una volta: «può venir annoverata nel circuito country, ma è una delle poche rock star genuine in circolazione di questi tempi». The Guardian: «sforna melodie con la fredda efficienza di una fabbrica pop scandinava». Secondo The Village Voice, «come una sfilza di autori country prima di lei, dà vita a personaggi e situazioni, alcuni provenienti da episodi di vita vissuta, e trova mezzi potenti per tratteggiarli». Nel 2010 The Tennessean scriveva: «non sarà la miglior cantante dal punto di vista della tecnica vocale, ma è la miglior comunicatrice sulla piazza». Noi, nel nostro piccolo, facciamo il tifo per lei.