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Caso camici in Lombardia, la chat con una Onlus che mette nei guai il cognato di Fontana. L’Organizzazione interviene: «Famiglia generosa»

30 Luglio 2020 - 14:53 Redazione
Un messaggio inviato da Dini a una Onlus confermerebbe che il cognato di Fontana era già sicuro di non dover dare alla Regione i restanti 25mila camici

La Regione Lombardia e la Dama srl, l’azienda di proprietà di Andrea Dini, cognato di Attilio Fontana, avevano un accordo. A dimostrarlo è un messaggio Whatsapp delle 9 del mattino del 20 maggio – trovato dalla Procura di Milano – che anticipa di due ore il momento in cui la fornitura fu trasformata in donazione. Questo dimostrerebbe, quindi, che Dini era già sicuro sia che la Regione avrebbe accettato la trasformazione, sia che la Lombardia non avrebbe preteso i restanti 25mila camici non venduti.

Si complica così la posizione dell’azienda, al centro dell’inchiesta per il rifornimento di camici alla Lombardia durante l’emergenza Coronavirus (sia Dini che Fontana sono indagati per frode in pubblica fornitura). La prova del messaggio fonderebbe la convinzione dei pm di «un preordinato inadempimento» contrattuale «per effetto di un accordo retrostante» tra la Regione Lombardia e l’imprenditore varesino nella vicenda dei 75mila camici – inizialmente data con affidamento diretto alla “Dama spa” dello stesso Dini, per un valore di 513.000 euro.

Come si legge su diverse agenzie e quotidiani, il Whatsapp sarebbe stato inviato da Dini a Emanuela Crivellaro, fondatrice e presidente de Il Ponte del sorriso, Onlus di Varese che lavora con tutti gli ospedali della provincia. «Ciao – si legge – abbiamo ricevuto una bella partita di tessuto per camici. Li vendiamo a 9 euro, e poi ogni 1.000 venduti ne posso donare 100». Secondo l’accusa, quindi, Dini – già prima di formulare per la prima volta l’offerta alla Regione di trasformare la fornitura in parziale donazione con una contestuale riduzione della restante fornitura – «offriva in vendita» all’interlocutrice «i camici non consegnati ad Aria spa».

Il 18 giugno, Crivellaro è stata ascoltata dai pm come persona informata dei fatti. La sua testimonianza ha rafforzato ai pm l’interpretazione che si trattasse proprio di quei camici (sequestrati ieri dalla Guardia di finanza): la donna ha aggiunto infatti che in aprile Dini le aveva detto «di dover vendere alla Regione» in forza di «un contratto in via esclusiva».

Le precisazioni della Onlus

Quella che compare nella chat «non era un’offerta di vendita di camici diretta specificamente alla onlus il Ponte del Sorriso». A precisato all’Ansa sono fonti della onlus stessa, chiarendo che la conversazione era solo «una comunicazione generica» da parte di Dini e «non un invito a comprarli». «La famiglia di Andrea Dini è una famiglia generosa e molto riservata nelle donazioni che vengono elargite in un vero spirito di solidarietà», ha poi scritto in una nota la stessa Crivellaro, specificando di aver preteso che la loro generosità venisse messa a verbale.

«Il Ponte del Sorriso – continua la nota – che rappresento, ha da sempre beneficiato del sostegno sia di Dama spa che dei coniugi Dini, che molto hanno fatto anche per il nostro ospedale materno infantile varesino, non solo economicamente ma anche partecipando alla vita attiva della nostra fondazione».

Con la famiglia Dini, il Ponte del Sorriso ha una «storica relazione»: «Per questo motivo – conclude Crivellaro – ho avuto quindi dei contatti durante il periodo più buio della pandemia. Dama ci aveva donato dei camici, che noi abbiamo consegnato ai nostri ospedali. Di questo la Procura di Milano, nei primissimi giorni delle indagini, ne era venuta a conoscenza, anche perché argomento largamente diffuso sui giornali locali e sui nostri canali di comunicazione».

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