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Twitter cancella l’account di David Duke, ex Gran Maestro del Kkk

Duke avrebbe violato più volte le regole dell'azienda in materia di incitamento all'odio. Il suo account era seguito da oltre 50mila persone

La Lega anti-diffamazione americana lo definisce «il razzista e antisemita più noto d’America», per altri è il “Grand Wizard“. Parliamo di David Duke, fondatore dei Cavalieri del Ku Klux Klan, con cui tentò di dare un aria di rispettabilità all’organizzazione di suprematisti bianchi americana. Da oggi, David Duke non è più su Twitter: il social media fondato da Jack Dorsey ha deciso, dopo undici anni e molte polemiche, di disattivare il suo account per aver ripetutamente violato le regole sull’incitamento all’odio.

Twitter segue l’esempio di YouTube

YouTube, di proprietà di Google, lo aveva fatto già un mese fa, cancellando il canale di Duke dalla sua piattaforma. Non è chiaro esattamente quale azione specifica di Duke abbia portato alla cancellazione del suo account. La BBC scrive che l’ultimo suo tweet era un link a un’intervista che lo stesso Duke aveva fatto a Germar Rudolf, condannato per negazionismo dell’Olocausto in Germania.

Ad ogni modo le regole di Twitter proibiscono gli account che promuovono la violenza o attaccano o minacciano direttamente altre persone sulla base delle loro caratteristiche personali, come possono essere l’etnia, la fede o l’identità di genere. Negli scorsi mesi l’azienda di Jack Dorsey si è distinta rispetto a Facebook per la linea più dura adottata nei confronti del presidente Donald Trump, arrivando a oscurare un suo tweet sulle manifestazioni Minneapolis. Più recentemente, Twitter ha privato temporaneamente l’account di Donald Trump Jr di alcune sue funzioni, dopo che il figlio del presidente avesse condiviso delle informazioni considerate fuorvianti sulla Covid-19.

La decisione di Twitter è una brutto colpo per David Duke, ormai 70enne, che fino a qualche tempo fa poteva vantare un seguito massiccio online – il suo account Twitter era seguito da oltre 50mila persone – e che, tra una fuga all’estero (aveva vissuto anche in Italia) e una breve parentesi in prigione (era stato condannato a 15 mesi di carcere per frode nel 2002) usava regolarmente i social media per diffondere i suoi interventi, per fare propaganda e guadagnarsi nuovi proseliti.

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