Focolai in Europa, quanto e come viaggia il Coronavirus. Le analisi del virologo Maga e del matematico Sebastiani
Da quando è iniziata la pandemia da Coronavirus, l’obiettivo delle autorità politiche – e l’auspicio di quelle sanitarie – è stato uno: rintracciare e tracciare le linee di contagio. Con la fine del lockdown, si è cercato in tutti i modi di adeguare la vita sociale e pubblica al rischio della trasmissione di Sars-Cov-2. Ma con la riapertura dei luoghi di lavoro e delle frontiere, la missione si è fatta sempre più complicata.
In Europa, Stati come Francia, Spagna, Germania e Regno Unito (ormai ex Ue) stanno da settimane pagando lo scotto di un allentamento forse un po’ troppo prematuro e ottimista, viaggiando a cifre che toccano gli oltre mille contagi giornalieri. In Italia, di contro, per quanto gli ultimi giorni siano stati caratterizzati da una leggera risalita dei contagi (ieri + 295, due giorni fa +379, tre giorni fa +386) le cose sembrano essere maggiormente sotto controllo.
Stando all’ultimo report settimanale dell’Iss e ai dati del ministero della Salute, comunque, l’Italia non è estranea a nuovi focolai. I recenti cluster sono 123, su un totale di 736. Luoghi di trasmissione molto diversi da quelli della prima fase, che vedono un coinvolgimento minore di anziani e l’abbassamento dell’età mediana a 40 anni. La situazione non è critica, dicono dalle istituzioni, ma comunque è bene tenere gli occhi aperti. Perché, soprattutto da alcune zone come Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, arrivano segnali che richiedono una «particolare attenzione».
L’aumento sarebbe dovuto a una più intensa attività di testing-tracking-tracing – le famose “3 T” che avrebbero dovuto accompagnare fin da subito l’uscita dalla Fase 1 ma che mostrano la loro efficacia nell’individuare (si vedrà se anche nel bloccare) le catene di trasmissione solo nel pieno della Fase 3. Ma quanto l’Italia riuscirà a giocare la sua partita senza essere condizionata dall’andamento del resto d’Europa? Insomma: quanto e come viaggia il virus attraverso i vari Paesi?
La situazione in Europa
Il matematico del Cnr Giovanni Sebastiani ha effettuato uno studio sulla situazione dei focolai in tutta Europa. Secondo quanto emerso dalle sue analisi – che verranno pubblicate su Scienza in Rete oggi 2 agosto -, la Spagna e il Belgio sono i Paesi europei dove la diffusione del virus appare più veloce. In entrambi i casi l’andamento risulta di tipo esponenziale «con tempi di raddoppio di 9 e 10 giorni rispettivamente».
Risulta più bassa, invece, la velocità di diffusione dell’epidemia in Romania, «dove la crescita è sempre di tipo esponenziale, ma con un tempo di raddoppio più lungo, pari a circa 15 giorni». In Germania, poi, l’andamento è stato di crescita lineare fino alla fine della prima settimana di luglio, «seguita da una fase di crescita esponenziale con tempo di raddoppio di 16 giorni circa». L’andamento esponenziale si è avuto da subito invece in Serbia, con tempo di raddoppio di circa 42 giorni.
Questione di numeri
Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, non è troppo tranquillo nemmeno riguardo al quadro del nostro Paese. «I numeri che si vedono tutti i giorni indicano ormai chiaramente che i casi di positività sono in aumento», ha commentato a Open. «Certo, l’aumento non è straordinario o esponenziale, ma comunque bisogna stare all’erta: è evidente che il virus continua a circolare».
L’analisi di Sebastiani ha individuato come in cima alla classifica dell’andamento in Italia si trovino Trento, Emilia Romagna e Veneto. Nelle posizioni più basse, invece, si trovano Sardegna, Umbria e Puglia. La media dell’aumento nelle regioni del nord è pari «a circa 10.3 casi per 100,000 abitanti». Mentre al sud il valore stimato «è pari a circa 4.24 casi per 100,000 abitanti».
Secondo Maga e Sebastani, la questione principale è quella di ridurre al minimo la diffusione del contagio dai cluster. In tal senso, per il virologo è sbagliato pensare che si tratti solo di focolai derivanti da casi d’importazione fuori o da migranti. «Ci sono molti piccoli focolai, parecchi dei quali derivanti dalle attività lavorative e dalle nostre comunità», spiega Maga. «Penso al caso della Puglia e ai contagi rilevati ieri dopo una festa di compleanno. Ma ci sono molti altri esempi simili che riguardano contesti puramente italiani».
… e di spazi
Parallelamente, è innegabile che con la riapertura delle frontiere e con la stagione del turismo, i viaggi rappresentino un fattore di rischio. A fronte anche dei focolai diffusi nel resto d’Europa – e data la portata attrattiva del nostro Paese in estate – è importante non fare passi indietro dal punto di vista della sicurezza negli spazi pubblici, tanto più se chiusi.
«Non bisogna togliere il distanziamento sui treni e sui mezzi di trasporto pubblico», spiega Maga. «Siamo in un periodo in cui la frequenza dei viaggi è maggiore e l’Italia è una meta turistica molto ambita. Fare 3 o 4 o 5 ore vicino alle altre persone, in spazi piccoli come quelli di bus o treni, aumenta di una tacca il rischio di poter avere dei casi di infezione».
Un occhio all’autunno
Tranquilli sì, insomma, ma non troppo. «Abbiamo un numero R che è vicinissimo a 1», insiste il virologo. «1 significa che c’è un infezione endemica, cioè sottotraccia e permanente. Se non lo manteniamo sotto l’1 corriamo il rischio di tornare a una situazione epidemica». Attualmente, non siamo davanti a un trend in discesa: piuttosto, assistiamo a un andamento in bilico tra “statico” e “in aumento”.
Proprio il momento della riapertura delle scuole coinciderà con l’inizio della stagione influenzale, periodo più favorevole alla diffusione dei virus: «Non è escluso che l’epidemia possa tornare in quei momenti, visto che partiamo da una base non proprio incoraggiante», spiega Maga. Dal suo punto di vista, è facile che in autunno il Coronavirus possa riprendere una circolazione importante, soprattutto «se si abbandonano le misure di distanziamento fisico e si smette di usare la mascherina». La mascherina – a volte così trascurata e, addirittura, denigrata – deve diventare «il nostro fazzoletto». Anche in vacanza.
Se gli “ottimisti” condizionano i comportamenti dei cittadini
Per queste ragioni, il direttore dell’Istituto di Pavia andrebbe cauto con le rassicurazioni. «Si sa – dice – se le persone sono stanche e spaventate sono portate psicologicamente a credere alla voce più rassicurante». E proprio il dibattito sollevato dai “negazionisti” (o “ottimisti“) del virus – e cioè esperti e politici che negano che ci sia tuttora un grave pericolo legato al Covid-19 – potrebbe portare a un peggioramento delle condizioni.
«Noi cittadini siamo usciti da un periodo molto pesante», spiega Maga. «Il lockdown, il blocco delle relazioni sociali. Dal punto di vista psicologico c’è la voglia di dimenticarsi di questa triste avventura. Di aggrapparsi alla voce con cui ci si sente in sintonia. Se io non voglio che ci sia il virus e arriva uno che mi dice che non c’è… beh, anche se altre 10 persone mi diranno il contrario, io sarò portato a dare ascolto a chi mi dà rassicurazioni. Anche se non sono assolutamente fondate».
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