Omofobia, la strada a ostacoli del Ddl Zan che arriva oggi in aula alla Camera. E resta l’incognita Forza Italia
Terminata la battaglia in Commissione giustizia, con l’ok definitivo al testo, l’inserimento di una “clausola salva idee” e il fuoco di fila di Lega e Fratelli d’Italia che, insieme, hanno presentato circa 975 emendamenti (tra cui spiccava quello su “calvizie e canizie“), per il progetto di legge contro l’omofobia si apre oggi un nuovo fronte: quello dell’Aula di Montecitorio.
I tempi per l’approvazione: orizzonte settembre
Il sesto tentativo di approvare in Italia una legge contro le discriminazioni di genere, che mira a punire in questo caso chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione o violenti per motivi «fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere», ha ancora di fronte un lungo percorso disseminato di ostacoli. Oggi, nell’aula della Camera, prenderà il via la discussione generale, dopo che giovedì scorso in Commissione giustizia il relatore Alessandro Zan, deputato del Pd, ha ricevuto il mandato a riferire in Assemblea. Ma un’approvazione alla Camera entro Ferragosto sembrerebbe da escludere: troppo forte l’ostruzionismo che ci si aspetta da Lega e FdI. Dopo la valanga di emendamenti presentati in commissione, e la promessa di barricate in Aula, le opposizioni punterebbero a replicare lo schema. E qui, per provare a capire meglio quali tempi aspettarsi, bisogna chiamare in causa il regolamento della Camera. Se il progetto di legge Zan fosse approdato in Aula entro la fine di luglio, come era nelle intenzioni, sarebbe stato possibile, da regolamento, un contingentamento dei tempi nel mese corrente. Diversamente, avendo iniziato la discussione nell’emiciclo ad agosto, tale possibilità è rimandata a settembre. Ed è proprio a settembre che il testo, non esente da possibili ulteriori limature – così da ottenere un consenso più ampio – potrebbe essere approvato.
Pregiudiziali di costituzionalità e voto segreto: la grande insidia
In mezzo però c’è un percorso irto di insidie, tra cui una che riguarda la costituzionalità della legge. La Commissione Affari costituzionali, esprimendo un parere proposto dal relatore Stefano Ceccanti (Pd) e approvato all’unanimità, ha chiesto di intervenire in due punti del testo, uno relativo alla “clausola salva idee”, l’altro riguardante le condotte discriminatorie. Proprio partendo dai rilievi della Commissione, potrebbe essere sollevata in Aula una questione pregiudiziale di costituzionalità che, combinata al voto segreto, potrebbe anche essere approvata, sbarrando quindi la strada al provvedimento.
Incognita Forza Italia
Appare complessa anche la situazione in Forza Italia. Dopo l’assorbimento nel testo della “clausola salva idee”, sostenuta dal capogruppo Fi in commissione Enrico Costa, è saltata l’intesa tra la maggioranza e i forzisti sul testo. Il partito ha infine optato per la linea del no, espressa giovedì scorso in commissione dal deputato Andrea Orsini, non senza incontrare il disappunto dei due componenti azzurri della commissione, Enrico Costa e Giusy Bartolozzi che, non essendo dello stesso avviso, si erano astenuti durante il voto. Considerato che al gruppo parlamentare è stata garantita libertà di voto, secondo coscienza, resta da chiedersi cosa faranno i liberal del partito e quanti voti potrebbero portare alla causa del relatore Zan. Osservazioni analoghe poi riguardano anche la componente cattolica del Pd, che potrebbe non allinearsi del tutto al testo così formulato, creando altri grattacapi al resto della maggioranza.
E poi c’è il Senato
Se venisse approvata alla Camera la legge Zan approderebbe quindi in Senato. Già, ma quando? Probabile, volendo spingerci più in là con le ipotesi, che questo possa avvenire all’inizio del 2021. E anche lì non mancheranno le incognite. Nel nostro bicameralismo paritario, si sa, le leggi devono essere approvate nella medesima forma dai due rami del Parlamento. E si sa anche che, laddove approvata da una delle due camere, una legge che venisse modificata dall’altra, finirebbe per tornare indietro. È il cosiddetto “ping-pong parlamentare”, o più elegantemente definito “navetta”. Questo rischio, unitamente ai numeri risicati della maggioranza a Palazzo Madama, potrebbero complicare l’iter della legge sull’omofobia. Certo, gli strumenti per forzare un po’ la mano ci sarebbero, basti pensare alla fiducia, ma anche lì non mancherebbero dubbi e perplessità.
Scontro parlamentare ma anche culturale
Mentre in Parlamento prosegue lo scontro politico, fuori non accenna a diminuire quello culturale e valoriale. Perché la legge sull’omofobia non chiama in causa solo procedure parlamentari e tatticismi tra i partiti, ma la società intera, con le sue espressioni favorevoli e contrarie, fortemente radicate in modelli culturali talvolta opposti e, al momento, inconciliabili. Da un lato le associazioni Lgbt+, che attendono da oltre 20 anni una legge che argini con più precisione le discriminazioni e le violenze fondate su sesso e orientamento sessuale, costantemente presenti nella nostra società; dall’altro l’associazionismo conservatore e cattolico, che critica fortemente il provvedimento paventando derive liberticide. Nel mezzo un dato eloquente: in quasi tutti i Paesi Ue, dalla Francia alla Germania, esiste una norma in questo senso. In Italia manca. E sono più di vent’anni che ci si lavora. Un po’ come le grandi opere incompiute, categoria nella quale ci distinguiamo.
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