Mini bomba atomica nel porto di Beirut? Tre fisici rispondono ad Alessandro Meluzzi, Chef Rubio e Byoblu
Continuano a essere virali in rete le più disparate bufale sull’esplosione avvenuta nel porto di Beirut. Dalle fonti a disposizione è difficile capire cosa sia esattamente successo. Sappiamo che il nitrato di ammonio potrebbe aver giocato un ruolo, ma su questo punto gli esperti non sono concordi. Serviranno ulteriori indagini per sapere cosa è avvenuto davvero. Quel che possiamo fare al momento è capire cosa sicuramente non è accaduto. Per esempio, non sono volati i corpi di alcune vittime subito dopo l’esplosione, malgrado quanto millantavano alcune foto sgranate messe in circolazione da diversi media armeni e arabi, si è trattato semplicemente di uno stormo di uccelli. Soprattutto, sappiamo per certo che non è stato fatto esplodere un ordigno nucleare di dimensioni ridotte, come sostengono diversi personaggi vicini ad ambienti complottisti, in rete.
Tra i sostenitori di questa ipotesi lo psichiatra e membro di Fratelli d’Italia Alessandro Meluzzi, il quale chiede su Twitter se si trattasse per caso di una «mini bomba atomica tattica». Byoblu – del blogger ed ex-responsabile della comunicazione del Movimento 5 Stelle Claudio Messora – gli dà spazio in una intervista acritica, dove parla di un attentato che «sembra fatto con una valigetta nucleare portatile». L’ex rugbista e presentatore televisivo Gabriele Rubini (Chef Rubio) riporta su Twitter una frase presa dal sito di estrema destra VeteransToday, dove si parla di «tactical miniature nuclear bomb». Effettivamente le bombe atomiche di dimensioni ridotte esistono davvero e si potrebbero usare con una certa agilità. Ma non è questo il caso. Spieghiamo quindi – assieme a tre fisici molto noti per la loro attività di divulgazione in rete: Enrico D’Urso, Marco Coletti (La fisica che non ti aspetti) e Luca Romano (L’Avvocato dell’Atomo) – perché siamo sicuri che a Beirut non può essere stato utilizzato un ordigno nucleare.
Cos’è una mini bomba nucleare
Effettivamente vedendo la forma della colonna di fumo elevatasi a seguito dell’esplosione, si nota forse una analogia con quelle dei filmati di repertorio sui funghi atomici. Quanto è plausibile l’ipotesi della mini bomba nucleare? «Le mini bombe nucleari in un certo senso esistono – spiegano i fisici – Il più piccolo ordigno si chiamava Davy Crockett. Questo proiettile recava al suo interno una testata W54 di 23Kg, con una potenza che si aggirava tra 0,01 e 0,02 Kilotoni. È un genere di ordigno trasportabile in braccio, si lanciava con degli appositi bazooka. Questo genere di armi può essere utile per la fanteria, ma non producono grandi esplosioni».
Cosa non si vede nell’esplosione a Beirut
Nei filmati si vede un’onda d’urto di forma fungoide, ma questa sembra essere dovuta al fatto che l’esplosione produce pressione sulle particelle di vapore acqueo sospese in atmosfera, come ha spiegato in una recente analisi il professor Pellegrino Conte. «Un’onda supersonica quando ritorna sonica va a condensare tutta l’umidità. A questo si deve quella nuvola abbastanza spettacolare. Anche il colore rossiccio del fungo ci dice che non si tratta di una esplosione nucleare. Non è tipico di questi fenomeni». «Questo color mattone potrebbe essere spiegato sia col decadimento del nitrato d’ammonio, sia con la presenza di un deposito d’armi o alla presenza di materiali metallici in generale. Quel che vediamo nei filmati di Beirut è diverso da una esplosione nucleare, mancano diverse cose, per esempio non c’è un flash luminoso, visibile in tutti i filmati che mostrano una esplosione nucleare». «In un’esplosione nucleare si ha in generale un forte rilascio di radiazione di ogni genere, inclusa quella elettromagnetica, il che produce sia il lampo di luce sia un picco sulle altre lunghezze d’onda. Un simile impulso avrebbe dovuto mandare in tilt la maggior parte dei dispositivi elettronici in un raggio di diverse centinaia di metri, cosa che non è successa».
Come è possibile individuare attività nucleare a distanza
Del resto al di là delle immagini è possibile comunque verificare se c’è stata una pur piccola attività nucleare a Beirut. In precedenti articoli avevamo trattato per esempio della presenza di «radionuclidi di fallout», nelle calotte polari e negli strati superficiali di diversi ghiacciai. Sono stati indizi importanti anche per la questione del presunto incidente nucleare a Severodvinsk. Rilevazioni di questo tipo, effettuate nei Paesi della NATO, vanificarono i tentativi dei Sovietici di sminuire l’incidente di Chernobyl. Insomma, non sarebbe facile tenere nascosta una esplosione nucleare a Beirut, vista la consistente traccia di elementi radioattivi che comporterebbe. «Con delle buone statistiche sarebbe possibile così calcolare anche la differenza di impatto tra l’incidente di Chernobyl e gli esperimenti nucleari in atmosfera. Riguardo a Severodvinsk ricordo che in Finlandia avevano trovato quantità di Iodio-131 che potevano indicare una esplosione nucleare, però avevano trovato solo quello. Ne hanno dedotto che non poteva trattarsi di un missile, perché si sarebbero dovuti rilevare anche altri radionuclidi. Lo Iodio da solo poteva al massimo indicare l’attività di una industria farmaceutica».
«In generale esiste tutto un sistema di rilevazione degli eventi atomici, basato non solo sui radionuclidi, ma anche su strumenti di rilevazione delle onde sonore e sismiche. Nel caso di Beirut sono importanti anche i sismografi: andando a vedere l’ampiezza della scossa indotta e sapendo quanto nitrato d’ammonio c’era e quanta energia poteva rilasciare, si vede se questi due numeri sono sovrapponibili: se lo sono e ti mancano i radionuclidi, non c’è spazio per bombe nucleari, quantomeno se l’esplosione è avvenuta in aria. Se invece è sotterranea puoi analizzare il tracciato del sisma fino all’epicentro ed effettuare misure di radioattività in prossimità di quest’ultimo, ma non è il caso che stiamo analizzando».
E se i governi volessero insabbiare le vere ragioni dell’esplosione?
Questo genere di informazioni potrebbero però essere accessibili solo attraverso analisi governative? Non potrebbero venire quindi insabbiate? «Un tale insabbiamento richiederebbe un’azione concertata dei governi di tutti i paesi compresi in un’area che andrebbe dal Mediterraneo al Golfo Persico. Estremamente improbabile, dal momento che vi sono sia paesi con rapporti estremamente conflittuali (lo stesso Libano con Israele, ad esempio), che non avrebbero ragione di aiutarsi a vicenda a coprire un misfatto, sia paesi che adottano politiche fortemente anti-nucleare, sia sotto il profilo civile che sotto quello militare (ad esempio l’Austria), e pertanto sono estremamente solerti nel monitoraggio dei livelli di radioattività». «In ogni caso una macchinazione del genere sarebbe facilmente smascherabile da chiunque fosse in possesso di un semplicissimo contatore Geiger: basterebbe appostarsi a un chilometro dalla zona dell’esplosione, anche diversi giorni dopo che è avvenuta e si rileverebbe un picco di radioattività anomalo. Si avrebbero facilmente le prove dell’utilizzo di un ordigno nucleare».
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