Torino, mille euro per lasciare il campo nomadi: «I rom vogliono una cascina o un terreno» – L’intervista
«Dare mille euro ai rom per mandarli via dal campo non è una soluzione. Dove andranno? Molti di loro si sposteranno nella stessa città, altri magari rifaranno la stessa cosa in un’altra zona, altri ancora occuperanno abusivamente appartamenti». A parlare a Open è Carla Osella, presidente dell’Associazione Italiana Zingari Oggi (Aizo). A Torino in queste ore un centinaio di famiglie rom sono state inviate a lasciare il campo nomadi non autorizzato di via Germagnano, il più grande della città. Presto l’intero campo verrà smantellato. «I rom – spiega Osella – vorrebbero una cascina o un terreno privato in cui stare con tutta la famiglia, fratelli e cognati compresi. Hanno bisogno di grandi spazi, non di sgomberi come questo».
Come potranno spendere i soldi
Ai rom è stato offerto un contributo di mille euro, come confermano fonti qualificate del comune di Torino a Open. «A noi risultano circa 80 famiglie, difficile in realtà fare un censimento preciso. I mille euro che abbiamo offerto possono essere utilizzati dagli occupanti del campo per tornare in Romania, per affittare una casa in città o per ricongiungersi a un altro nucleo familiare. Ovviamente sono liberi di accettare o meno, noi facciamo il possibile e tuteliamo soprattutto chi ha famiglie con anziani, disabili e malati. Siamo in linea con le richieste dell’Unione europea».
Quasi la metà ha accettato il contributo
L’area dove si trova il campo rom è off limits dal 2016 a causa di alcuni reati, compreso quello del disastro ambientale. Quindi va sgomberata il prima possibile. L’Associazione Italiana Zingari Oggi, parla esattamente di 104 famiglie rom (altre fonti parlano di 96 famiglie, ndr): «Solo in 45 hanno accettato di andare via. La maggior parte sono rumeni che hanno sposato donne rom e viceversa. Persone che vivono da 15 anni in Italia, che si sentono torinesi, che vivono raccogliendo dai vari cassonetti. Altri si dedicano alla raccolta del ferro, altri ancora, purtroppo, ai furti». Ci sono anche «25 famiglie di bosniaci», 23 di «serbi e croati» e una famiglia «con un ragazzo disabile» di 13 anni. «A loro è stata offerta la possibilità di andare in una piccola comunità o di prendere un monolocale» ci spiega Carla Osella, sociologa e presidente di Aizo che ha vissuto nei campi rom.
L’impatto del Coronavirus sulla comunità rom
È sempre Osella a spiegarci l’impatto che l’epidemia ha avuto sulla vità di questa comunità: «Abbiamo avuto due ricoveri in ospedale per Coronavirus e persino due persone che si sono tolte la vita, forse per depressione. Una circostanza che non si verifica mai. Nei confronti dei rom, intanto, c’è ancora odio e antipatia».
Foto in copertina di repertorio: ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
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