Coronavirus, sotto accusa i giovani. Si abbassa l’età dei positivi ma sono una minoranza: «Troppe informazioni false»
Sono tornati i tempi della “movida”, in cui l’aumento dei casi di Coronavirus viene attribuito ai comportamenti irresponsabili dei più giovani, in particolare al fatto di andar per bar e discoteche senza mascherina. La cronaca di queste ore va in quella direzione. Dopo la diciottenne tornata dal viaggio di maturità in Croazia con il Covid, ha fatto notizia la chiusura di una discoteca sulle colline di Misiano Adriatico, nel Riminese, il Byblos, dove si ballava senza rispettare il distanziamento fisico e senza usare i dispositivi di sicurezza.
Scende l’età mediana, ma i giovani infetti rimangono una minoranza
Anche i dati lo confermano, in parte. È vero che negli ultimi mesi l’età delle persone infette dal Coronavirus è scesa. I dati dell’Iss sugli ultimi 30 giorni dell’epidemia dimostrano che l’età mediana dei casi – ovvero il valore centrale, non influenzato da dati anomali – è di 39 anni, mentre stando ai dati cumulativi, dall’inizio della pandemia è di 60 anni. Così è avvenuto e sta avvenendo anche in altri paesi. Negli Stati Uniti a inizio luglio il capo della task force per il Coronavirus, il dottor Anthony Fauci, ammoniva che l’età media dei pazienti fosse scesa di circa 15 anni in pochi mesi.
Ma se in Spagna – dove sono stati registrati oltre 37mila nuovi casi nelle ultime due settimane – uno studio pubblicato a fine luglio dall’ospedale Carlos III riportava che il maggior numero dei casi era di persone in età compresa tra i 15-29 anni, lo stesso non accade in Italia. Negli ultimi 30 giorni infatti il numero di casi che riguarda le persone comprese nella fascia d’età tra 0-19 anni rappresenta il 12.8% del totale, meno dei casi tra 51-70 anni che sono il 20,1%.
Difficile sapere quanto il dato sull’età mediana dei positivi sia viziato dal fatto che vengano fatti più tamponi agli under-19 rispetto a prima. Soprattutto se teniamo conto del fatto che molti dei giovani positivi sono asintomatici: fino ai 39 anni, quasi il 70% lo è. Un numero, dunque, che non si traduce automaticamente in ricoveri.
Quelle informazioni sbagliate sul Covid
«In realtà è vero che i giovani hanno molti meno sintomi – spiega a Open Stefano Vella, infettivologo e docente di Salute globale alla Cattolica – quindi se ci sono molte meno persone ricoverate è dovuto al fatto che queste persone hanno un’infezione molto blanda. Si sapeva dall’inizio che i giovani avrebbero vissuto questa infezione in modo lieve. Però la trasmettono: ai nonni, agli zii, ecc. ecc. Non hanno sintomi quindi non vanno in ospedale, e questo ha fatto pensare che il virus si fosse ammorbidito, ma non è così».
Però ci sono stati casi gravi anche tra i giovani. «Certo, ma nella statistica è così – risponde Vella -. Non tutti siamo uguali. In alcune persone dà una sintomatologia importante, ma sono una minoranza». Quindi sempre più giovani si stanno contagiando a vicenda, c’è troppa poca attenzione nel seguire le regole, probabilmente anche tra chi frequenta locali e discoteche. Alla fine, anche la movida è sul banco degli imputati. Ma non è sola.
«Ci sono state delle persone irresponsabili, anche medici e colleghi, che hanno detto delle cose false, che il virus non girava più, che si stava indebolendo – constata Vella -. Hanno veicolato delle pillole di ottimismo a raffica. I giovani avranno anche abbassato la guardia, ma hanno ricevuto informazioni fuorvianti che li hanno indotti a comportarsi in questo modo». Di certo quelle parole non sono uscite dalle bocche di chi a giugno ha dato la maturità.
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