Niente tetto al bonus dei 600 euro? Il governo: Dovevamo fare presto. Ma la spiegazione non regge
Mentre è in corso la caccia ai deputati che, durante il lockdown, hanno pensato bene di arrotondare la loro già sostanziosa indennità chiedendo il bonus da 600 euro per i lavoratori autonomi, proseguono il collettivo straccio delle vesti e le denunce, bipartisan, di immoralità. Pochi però, come il senatore del Pd Tommaso Nannicini, hanno fatto osservare come, forse, il problema stia all’origine. Ovvero la scelta del Governo di elargire aiuti a pioggia, senza nessun tetto e nessun criterio di progressività.
August 9, 2020
Profondamente immorale, ma non illegale
Chiariamo subito, e non certo per giustificare l’ingiustificabile, che i deputati in questione non potrebbero nemmeno essere definiti “furbetti”. Perché non c’è nulla di illegale in ciò che hanno fatto. La legge gli consentiva di chiedere quel bonus. Ma siccome non sempre ciò che è legale è anche moralmente corretto, proprio la morale e il senso di responsabilità avrebbero dovuto sconsigliare una condotta simile. Perché dunque non è stato introdotto un limite di reddito, un tetto, come ci si domanda in queste ore?
Tetto no, ma per alcuni sì
In realtà la situazione è anche più curiosa di quanto non appaia già. Perché non è vero che per tutti gli autonomi non sia stato introdotto un tetto. Ma procediamo con ordine. La storia dei 600 euro inizia con il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. È il famoso decreto “Cura Italia“. Sono i giorni della piena emergenza. Il Governo è chiamato, in breve tempo, a predisporre misure di contenimento sanitario per frenare l’avanzata del virus ma, al contempo, a mettere in campo le prime stampelle per sostenere la tenuta dell’economia.
L’art. 27 del decreto stabilisce che «ai liberi professionisti titolari di partita iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data, sia riconosciuta un’indennità per il mese di marzo pari a 600 euro». Nessun tetto, nessun limite di reddito.
Lo schema, per il mese di aprile, si ripete anche all’art. 84 del decreto “Rilancio“. Per il mese di maggio, invece, viene fissato un paletto: oltre alla partita iva attiva alla data del 19 maggio 2020, occorre dimostrare di aver subito una perdita di reddito del 33% nel secondo bimestre 2020 rispetto al secondo bimestre 2019.
Insomma per i mesi di marzo e aprile una pioggia di aiuti senza nessun limite di reddito e senza nessun criterio di progressività. Eppure questo non vale per tutti gli autonomi. Il 28 marzo arriva un decreto interministeriale che fissa i criteri di erogazione del bonus per gli iscritti alle casse di previdenza private. E qui, diversamente da quanto è stabilito per la gestione separata dell’Inps, i limiti di reddito ci sono: 35mila euro il primo, 50mila euro il secondo (con dimostrazione, in questo caso, di aver avuto cali di fatturato). Una evidente incongruenza.
Rapidità fu la parola d’ordine
La linea difensiva che il Governo intende opporre, nelle prossime ore, a chi con insistenza chiede il perché non sia stato previsto un tetto per la maggioranza dei lavoratori autonomi, è che la situazione di emergenza richiedeva rapidità di intervento.
Introducendo dei tetti si sarebbe messa in moto la macchina delle verifiche, con intasamenti burocratici che avrebbero dilatato, e anche di molto, i tempi per l’effettiva erogazione dei bonus. La tenuta sociale sarebbe stata la prima preoccupazione dell’esecutivo, che avrebbe quindi fatto di tutto per accelerare i tempi di accredito delle indennità, così da non esasperare ulteriormente una situazione già difficile.
Ma non tutti sono d’accordo
Ma c’è già chi non accetta questa linea difensiva e ribatte, come il leader di Azione Carlo Calenda: «Noi avevamo proposto di mettere un tetto di reddito. In questo caso non avrebbe rallentato l’erogazione perché le dichiarazioni si conoscono. Se il Governo dice che non ha messo paletti per poter far arrivare più rapidamente i 600 euro agli italiani non è una giustificazione corretta», ha attaccato durante un’intervista a Radio Capital.
Lo stesso senatore del Pd Nannicini, in una intervista al Corriere della Sera, ritornando ai giorni del voto sulle misure a Palazzo Madama, ha detto di aver «presentato degli emendamenti. E lo hanno fatto anche altri. I bonus dovevano essere progressivi per una questione di equità e selettivi per non sprecare risorse. Cioè bisognava darli a chi ha redditi bassi o a chi ne ha bisogno per cali di attività. Non si è voluto fare così e poi c’è poco da stupirsi se ce li hanno i navigator, i notai, i parlamentari…».
Ma se i controlli sono ex post?
Certo rimane in piedi una domanda: ma se i controlli sono ex post, in che modo avrebbero potuto rallentare l’erogazione immediata del bonus? In un primo momento tutti ne avrebbero beneficiato, ma casi come quello dei parlamentari ingordi sarebbero stati (ex post) disinnescati. Detto che, probabilmente, con dei limiti di reddito fissati non avrebbero avuto nemmeno l’ardire di presentare la domanda.
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