Parla uno dei giovani ricercatori che lavorano al vaccino a Pomezia: «La mia vita di tensione tra Ebola e Covid-19»
Emanuele Minutello, 32 anni, alle spalle ha già una battaglia contro l’Ebola e oggi quella contro il Covid-19. Laureato in Genetica e Biologia molecolare, è uno dei giovani ricercatori dell’Irbm, l’azienda di Pomezia che, insieme all’Istituto Jenner di Oxford e ad Astrazeneca, sta lavorando alla sperimentazione di quello che tra non molto potrebbe essere finalmente il vaccino efficace contro il Coronavirus. Dietro agli aspetti scientifici della ricerca al vaccino c’è quello più umano, fatto di giovani eccellenze, da anni nel campo della ricerca.
«Allora a che punto siete?», «Riuscite con questo vaccino?». Sono le domande che Emanuele si sente rivolgere non solo da colleghi ricercatori e giornalisti, ma anche da amici e parenti, quando dopo una giornata di lavoro «si torna a casa e, sedendosi attorno alla tavola, si continua a parlare con le persone care di un tema urgente per tutti». La sfera lavorativa si intreccia inevitabilmente con quella personale, in una lotta alla pandemia che, nel racconto delle sue giornate, Minutello spesso definisce «un dovere morale».
Tra i ricercatori della squadra anti-Covid dell’azienda di Pomezia ci sono molti giovani. «Ho colleghi anche al di sotto della mia età, hanno 25-26 anni», racconta Minutello, «lavoriamo in una grande sinergia, insieme ai componenti più adulti del team. È un grande orgoglio». Capelli biondi e sorriso giovane, il ricercatore racconta della pressione che inevitabilmente lui e la sua squadra avvertono in questi giorni di grande attesa.
«Ma non dobbiamo farci sopraffare» dice subito dopo, «dobbiamo incanalare questa tensione in un flusso costruttivo». Disciplinato anche nel modo di descrivere l’emotività che si avverte «quando il mondo intero spera nei risultati di ciò che stai facendo», Emanuele ricorda con orgoglio il momento più difficile che gli è rimasto impresso nella mente.
Il lockdown. Tutta l’Italia ferma e una missione da dover portare avanti all’interno delle pareti dei laboratori che si faceva sempre più urgente. «Le forze sono triplicate in quel momento. Andare al lavoro aveva assunto un significato ancora più importante di sempre», racconta.
E la ricerca del team di Pomezia sta andando avanti in modo incessante. Matteo Liguori, Ceo di Irbm, spiega quanto duro lavoro ci sia dietro la carriera dei ragazzi del team, «un percorso che già solo per entrare nella nostra realtà lavorativa deve superare almeno dieci step di competenze», racconta. La fase di sperimentazione finora raggiunta fa ben sperare nei risultati ma mancano ancora degli step che gli scienziati definiscono «decisivi» per poter essere davvero certi dell’efficacia.
«Un progetto che in genere dura anni ha bisogno stavolta di tempi strettissimi», racconta Liguori, «per questo abbiamo deciso di agire in modo parallelo, da una parte la sperimentazione e dall’altra la produzione contemporanea di dosi necessarie. Non appena tutti i risultati ci daranno il via libera dal punto di vista medico, saremo pronti alla diffusione». Un rischio economico certo «ma non medico-scientifico» dunque, come tiene a ribadire la squadra che, insieme al mondo intero, attende di arrivare alle ultime fasi della ricerca e ricevere finalmente l’approvazione ufficiale degli enti regolatori.
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