Voto Rousseau, i Cinquestelle diventano come tutti gli altri: niente più limite di due mandati ai politici locali
Che sia una “rivoluzione” o un “cambio di pelle” la sostanza non cambia: i due Sì su Rousseau della base – o almeno una parte, visto che hanno partecipato al voto il 28% degli aventi diritto – del Movimento 5 Stelle agli altrettanti quesiti su doppio mandato e alleanze locali, segnano un’evidente inversione di rotta rispetto all’originaria intransigenza. La constatazione, probabilmente, che la politica è anche compromesso, e che compromesso non sempre equivale a sporcizia, disonestà, torbidezza. Vengono quindi ridiscussi due principi cardine dell’originaria purezza pentastellata: la regola dei due mandati e quella delle alleanze locali con i partiti, oltre che con le liste civiche.
Attenzione però, sul quesito dei due mandati va fatta una specifica. Non riguardava la regola dei due mandati in assoluto, ma solo le amministrative e alcune cariche.
Sei d’accordo a impegnare il Capo Politico ed il Comitato di Garanzia a modificare il cosiddetto mandato zero, escludendo dal conteggio del limite dei 2 mandati elettivi, un mandato da consigliere comunale, municipale e/o Presidente di Municipio?
A ben vedere era cucito su misura per consentire una ricandidatura alla sindaca di Roma Virginia Raggi, che aveva già ricoperto il ruolo di consigliera comunale nella Capitale. E qui l’assenso è stato molto largo, con 39.235 voti (80,1%) a favore e 9.740 voti (19,9%) contrari.
Situazione identica a quella dell’ex sindaco di Pomezia Fabio Fucci, espulso nel 2018 dal M5s, e che si trovò nella condizione di non potersi ricandidare per un secondo mandato, dopo essere stato consigliere (per appena un anno e mezzo). A quei tempi il dogmatismo era talmente forte da impedire a un sindaco, che a detta di molti aveva lavorato bene, di proseguire il suo lavoro. Oggi, che il dogmatismo si sta incrinando, si lavora per la ricandidatura di una sindaca che, a detta di molti, non ha particolarmente brillato, seppure in un contesto estremamente difficile.
Le reazioni di Di Maio e Casaleggio
Immediate le reazioni, dopo il voto, del vertice pentastellato, con Luigi Di Maio che si è rivolto alla sindaca di Roma: «Un grande in bocca al lupo a Virginia Raggi per la sua ricandidatura e buona fortuna a tutti i candidati sindaco che saranno a capo di coalizioni politiche nei Comuni dove correremo per le elezioni del 20 settembre», ha scritto l’ex capo politico su Facebook.
«Da oggi inizia una nuova era per il Movimento 5 Stelle nella partecipazione alle elezioni amministrative», ha proseguito il ministro degli Esteri, sottolineando come «includere e aggregare saranno le vie da percorrere, rispettando e difendendo sempre i nostri valori. Oggi abbiamo scelto di incidere. Oggi abbiamo scelto di provarci. Si riparte ascoltando i territori».
Anche Davide Casaleggio, dopo la consultazione, ha affidato ai social il proprio pensiero: «Da oggi i parlamentari e consiglieri regionali potranno riportare la loro esperienza nei comuni, e viceversa i consiglieri comunali e gli attivisti potranno essere attori di quel ricambio necessario per non far diventare la politica una professione».
«Il Movimento – ha osservato Casaleggio – in questi anni ha sempre dimostrato che le decisioni si prendono tutti assieme. Il vero organo collegiale decisionale del Movimento sono sempre stati gli iscritti ed è sempre stata la grande differenza dalle altre forze politiche».
Primo passo di una strategia nazionale?
L’impressione, forte, è che questo sia il primo passo, timido e prudente, nella strategia del Movimento per una rimessa in discussione del principio anche su scala nazionale. D’altronde se vale per i sindaci perché non dovrebbe valere anche per i parlamentari? Ma non solo. La regola del doppio mandato potrebbe letteralmente decapitare tutta la nomenklatura grillina. Basta scorrere con gli occhi tra i banchi del Parlamento per accorgersi che sarebbe impedita una ricandidatura a pezzi grossi come il presidente della Camera, Roberto Fico, i ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Fabiana Dadone, Federico D’Incà, Nunzia Catalfo, i sottosegretari Riccardo Fraccaro, Laura Castelli, Manlio Di Stefano, Carlo Sibilia.
Verrebbe escluso anche il capo politico reggente, Vito Crimi. Difficile credere che, alle prossime elezioni, tutti questi esponenti importanti del M5s, e che ne costituiscono la punta di diamante nelle istituzioni, possano fare un passo indietro.
Eppure tra questi nomi una eccezione di assoluto spicco c’è: quella di Alessandro Di Battista, che alla fine della scorsa legislatura non si è ricandidato e che, in base alla regola dei due mandati, potrà correre per un seggio in Parlamento alla prossima tornata elettorale. Si vedrà.
Le alleanze sui territori
C’è poi la questione alleanze. E lì il procedimento è inverso: dal nazionale al locale. Perché a Roma, alla fine, si è capito che in un sistema parlamentare e con un elettorato così frammentato è impossibile dar vita a una maggioranza monocolore, a meno che non si voglia andare a votare a oltranza e paralizzare il Paese. Ma sui territori, invece, risulta difficile convincere lo zoccolo duro dei militanti fedeli e coerenti con gli indirizzi delle origini. Accade così che si faccia una gran fatica a trovare convergenze con gli altri partiti (vedi il Pd) e che si debba ricorrere a Rousseau con il quesito:
Sei d’accordo con la proposta del Capo Politico di valutare,sentito il Comitato di Garanzia, la possibilità di alleanze per le elezioni amministrative, oltre che con liste civiche, anche con i partiti tradizionali?
Anche qui un netto cambio di rotta, ma questa volta più contestato, con i Sì che sono stati 29.196 (59,9%), e i No 19.514 (40,1%). Il tentativo, probabilmente, anche di ricomporre la distanza tra il M5s “di palazzo” e quello dei MeetUp. Distanza che però, a giudicare dai risultati, sembra essere ancora marcata.
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