In Evidenza Benjamin NetanyahuDonald TrumpGoverno Meloni
ESTERIAleksandr LukashenkoBielorussiaDiritti umaniMoscaRussiaUnione europea

Lukashenko alle corde, ora il destino della Bielorussia passa da Mosca. E l’Ue dovrà dire la sua

18 Agosto 2020 - 19:32 Federico Bosco
Putin vuole mantenere il controllo economico nell'aerea ma evitare di accendere il sentimento anti russo (che al momento non c'è). Domani il vertice del Consiglio europeo sul caso Minsk

Dopo oltre una settimana dalle elezioni che avrebbero visto trionfare il presidente in carica Alexander Lukashenko con l’80% dei consensi, in Bielorussia il vigore della protesta non dà segno di cedimento. Al contrario, il padre-padrone di questo Paese dall’alto valore strategico è in difficoltà come non era mai successo in 26 anni di potere assoluto. Dopo la settimana di proteste in 30 città e la folla oceanica che ha riempito le piazze della capitale, sono iniziati anche gli scioperi e le proteste di categoria. 

La TV di Stato è entrata in sciopero, mentre la visita agli stabilimenti della MZKT, produttore di veicoli industriali e militari dove Lukashenko si sentiva al sicuro, si è conclusa frettolosamente tra gli insulti e i fischi degli operai che gli hanno chiesto a gran voce di andarsene, e non solo dalla fabbrica.

Nel discorso il presidente ha aperto per la prima volta alla possibilità di un cambiamento dicendo che bisogna varare una nuova Costituzione e approvarla con un referendum, dopodiché «si potranno tenere nuove elezioni parlamentari e presidenziali, se proprio ci tenete». Di fronte ai primi fischi però si è innervosito e contraddetto, dicendo che elezioni ci sono già state e «finché non sarò ucciso non ci saranno nuove elezioni». La visita è finita in anticipo con una frettolosa fuga in elicottero. Lukashenko non era mai apparso così debole. 

Nel frattempo, la leader dell’opposizione Sviatlana Tsikhanouskaya fuggita in  Lituania, ha detto in un video di essere pronta ad assumersi la responsabilità di guidare il Paese e portarlo a nuove elezioni entro sei mesi, e ha invitato agenti e funzionari delle forze dell’ordine ad abbandonare il regime. 

Il ruolo della Russia

Adesso più che cosa farà Lukashenko, ci si chiede cosa farà il presidente russo Vladimir Putin dopo la richiesta di aiuto del padre-padrone dei bielorussi. Putin ha fatto sapere di essere pronto a intervenire anche militarmente se necessario, mentre il ministro degli esteri ha parlato di interferenze esterne di Polonia e Paesi baltici. 

La televisione di Stato russa ha rievocato addirittura il Commonwealth Polacco-Lituano del 1619, potenza regionale che includeva il territorio dell’odierna Bielorussia ed era una potenza della regione. 

Chiaramente sono esagerazioni, ma il Paese che a prima vista può sembrare una semplice Russia in miniatura in realtà è una nazione che ha sempre cercato l’indipendenza senza mai riuscire ad ottenerla, se non per un brevissimo periodo tra il 1918 e il 1919 quando l’Impero Russo si arrese agli Imperi centrali, per poi tornare a riprendersi Minsk come Unione Sovietica. La bandiera bianco-rossa sventolata nelle piazze risale a quel periodo, un vessillo che riprende proprio quello del Commonwealth Polacco-Lituano. 

Tuttavia, nonostante il nazionalismo, una caratteristica che distingue questa protesta da quelle del 2014 in Ucraina è l’assenza di uno smaccato sentimento anti-russo. Il terrore di Mosca infatti è proprio questo il parallelo tra Minsk 2020 e Kiev 2014. All’epoca la rivoluzione filo-occidentale in Ucraina porto la Russia a invadere e annettere la Crimea e alla guerra civile in Ucraina orientale. 

Sulla carta Mosca potrebbe prendere il rischio e varcare il confine e intervenire con la forza, ma sarebbe una mossa sproporzionata, pericolosa e controproducente. La rivolta bielorussa non è anti-russa e filo-occidentale, nelle piazze non si vedono neanche la bandiere UE: la rivolta è esclusivamente contro Lukashenko. Solo se la Russia mandasse soldati a salvare il presidente-tiranno con la violenza, o a insediare un governo fantoccio, nascerebbe davvero una profonda e irrisolvibile ostilità nei confronti di Mosca.  

Mosca-Minsk, una relazione difficile 

Tuttavia, è vero anche che il Cremlino è determinato a tenere la Bielorussia ben stretta nella sua sfera d’influenza, e c’è la possibilità che Putin possa vedere in questa crisi l’occasione aumentare il controllo su Minsk. 
Il Paese fa parte dell’Unione Russia-Bielorussia già dal 1996, mentre dal 2015 è entrata nel progetto russo dell’Unione economica euroasiatica (UEE). Negli ultimi anni però i rapporti si sono raffreddati. Nel 2019 Putin ha proposto di unire politicamente Russia e Bielorussia, ma Lukashenko si è opposto. Oltre a questo, a rovinare i rapporti c’è la volontà di Mosca di ridurre i sussidi energetici, o quantomeno di collegarli più strettamente a una partecipazione più vincolante all’UEE. 

L’argomento è così spinoso che, dopo la minaccia russa di ridurre l’assistenza finanziaria ed energetica in caso di rifiuto dell’integrazione tra i due Stati, Lukashenko ha iniziato a comprare petrolio dagli dagli Stati Uniti. 

Infine, a fine luglio le forze di sicurezza bielorusse hanno arrestato 33 persone accusandole di essere mercenari russi del Gruppo Wagner, entrati nel Paese con l’obiettivo di destabilizzare la Bielorussia. 

La calma e l’amicizia quindi erano solo apparenti, non è detto che Putin sia in grado di favorire un passaggio di poteri senza che questo generi delle conseguenze in quegli stessi apparati che non vogliono consegnarsi definitivamente alla Russia. Basta un errore e la situazione può andare fuori controllo. 

Cosa può fare l’Europa

La politica dell’UE nei confronti della Bielorussia è sempre stata l’attendismo. Nonostante le critiche e le denunce delle violazioni, Bruxelles non ha mai fatto eccessive pressioni sul regime. L’Unione europea e gli Stati Uniti imposero sanzioni alla Bielorussia dopo le elezioni fraudolente del 2006 e del 2010. Nel 2016 però sono state revocate con la speranza che Lukashenko potesse aprire a delle riforme in senso democratico.

Stavolta però i Paesi europei non possono tirarsi indietro. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha convocato per domani, 19 agosto, un vertice straordinario in videoconferenza, in linea di principio anche per l’UE la soluzione migliore è agevolare la fine dell’era-Lukashenko senza sconvolgimenti geopolitici, ma per ora l’iniziativa è nelle mani della Russia. 

Leggi anche:

Articoli di ESTERI più letti