Riapertura scuole, i medici di famiglia pronti (o quasi) per il maxi-screening degli insegnanti. «No agli errori del passato»
Un mese, anzi, 28 giorni per essere precisi: il tempo che divide il mondo della scuola dal suono della prima campanella stringe. Mentre i presidi chiedono al governo una sorta di “scudo penale” per non rispondere di eventuali contagi di Coronavirus all’interno del proprio istituto – qualora i protocolli di sicurezza fossero rispettati, ovviamente – e lamentano il ritardo nella consegna dei 2,5 milioni di banchi monoposto, che in alcuni casi non arriveranno prima della fine di ottobre, il test sierologico di massa sul personale scolastico sta per iniziare.
Si parte il 24 agosto per concludere la batteria dei cosiddetti “pungi dito” su circa 2 milioni di insegnanti e bidelli entro il 7 settembre. Un lavoro enorme, per il quale le Regioni prevedono di appoggiarsi ai medici di famiglia: sono loro le professionalità incaricate di prelevare la goccia di sangue dai dipendenti del mondo scuola e verificare la presenza di anticorpi con i kit rapidi. Nel caso in cui il reagente indicasse la presenza di immunoglobuline relative al Sars-CoV-2, spetterà all’Asl prendere in carico la persona ed effettuare il tampone entro 48 ore.
«Ce la faremo, sono numeri sostenibili», assicura Paola Pedrini, segretaria della Fimmg Lombardia, sindacato della medicina di famiglia italiana.
Dottoressa Pedrini, 2 milioni di test sono tanti: ce la farete in quindici giorni a eseguirli tutti?
«Ho parlato di numeri sostenibili perché, innanzitutto, l’adesione da parte dei medici di famiglia all’iniziativa è avvenuta su base volontaria. Con le partecipazioni raccolte, abbiamo stimato che ogni medico dovrà eseguire circa 20 test sierologici dedicati a insegnanti e personale scolastico. Per i territori in cui le adesioni non sono state cospicue, ci penseranno le Asl a completare lo screening».
Ci sono le condizioni di sicurezza per accogliere nel proprio studio un numero più elevato di pazienti rispetto alla quotidianità?
«Rispetto alla prima fase della pandemia, i dispositivi di protezione individuale si reperiscono più facilmente. Certo, c’è qualche territorio che ancora fatica a recuperarli, però si tratta di casi minoritari. Se in alcune zone mancano i dispositivi, è giusto che i test sierologici vengano fatti dalle Asl. In Liguria alcuni medici di famiglia stanno protestando perché non hanno ricevuto un numero sufficiente di dispositivi di protezione personale. Le Regioni Toscana e Lazio sembrano voler fare i test all’interno delle strutture delle aziende sanitarie. Sono scelte che devono essere assunte su base territoriale, a seconda del contesto».
È tutto pronto per far partire questo maxi screening del mondo scuola?
«Mancano alcune cose. Devono ancora arrivare ai medici di famiglia gli elenchi delle persone che hanno diritto a questo test: prima ci arrivano questi contatti, più facile sarà organizzare l’esame “pungi dito” su appuntamento. Non è il momento migliore per tardare sulla consegna dei nomi, visto che è ancora periodo di ferie e la disponibilità dei medici di famiglia non è illimitata».
Nel caso in cui un alunno avvertisse sintomi riconducibili alla Covid-19, le indicazioni per il contagio prevedono che la famiglia avvisi immediatamente il medico che prenderà in carico la questione segnalando il possibile caso all’Asl di competenza. Preoccupa il numero di chiamate che potrebbe arrivarvi?
«No, questo no. Come è stato fatto con qualsiasi lavoratore che, con la temperatura superiore a 37,5°C doveva chiamarci, così sarà per gli alunni».
Quali sono le criticità che vede lei, da medico di famiglia, nel ritorno a scuola di circa 8 milioni di studenti?
«Le norme per prevenire il contagio, mi riferisco a utilizzo della mascherina e distanziamento fisico, le conosciamo bene. Tutti gli istituti scolastici stanno attuando le linee guida fornite dal governo. Quindi ritengo che ci siano i presupposti per riaprire in sicurezza. L’impresa dev’essere individuare subito le persone sintomatiche per intervenire immediatamente. Più che l’apertura delle scuole, sono un po’ allarmata dall’organizzazione che si dà la macchina sanitaria nei diversi territori italiani. È essenziale per mantenere aperti gli istituti scolastici non ripetere gli errori fatti in primavera: diagnosi, tracciamento dei contatti e terapia devono far parte di un’organizzazione fluida del sistema sanitario».
Quali sono stati gli intoppi da non ripetersi?
«Ci sono ancora. Non sempre la diagnosi avviene in tempi rapidi: in alcuni casi, passano diversi giorni prima di ottenere il risultato dei tamponi. Se nella maggior parte delle Asl queste criticità sono state superate, nelle altre le difficoltà ci sono: se i casi, in autunno, dovessero aumentare, il rischio che si inceppi di nuovo il Paese è concreto se non si interviene adesso a risolvere questi nodi organizzativi».
Ci faccia un esempio di qualcosa che non ha funzionato in tempi recenti.
«Io sono di Bergamo e l’Ats di qui fa ancora a fatica a eseguire i tamponi in tempi rapidi. A volte il ritardo è dovuto alla comunicazione dell’esito al paziente, e questo ritardo si traduce in un isolamento posticipato rispetto al tempo idoneo per evitare che il malato contagi le persone intorno a sé. Poi, adesso che gli asintomatici sono molto più frequenti, la difficoltà nel tracciamento è aumentata. Sempre nell’Ats della mia zona, la mancanza di fluidità a cui facevo riferimento si palesa nella differente organizzazione sulle tre Asst di competenza. E a proposito di errori che si ripetono ancora oggi, l’Asst di Bergamo Est, quella di Alzano e Nembro per intenderci, aveva dato disposizione di recarsi in pronto soccorso per il tampone a quei viaggiatori che provenivano dai Paesi a rischio. Per fortuna, dopo qualche giorno, l’indicazione è cambiata e il test si svolge altrove».
Tornando al tema scuola, se in un’aula si riscontra un caso di positività, tutta la classe, docenti compresi, devono essere messi in quarantena. È una misura corretta?
«È una misura contraddittoria. Se si parla di rientro a scuola in sicurezza, vuole dire che la catena di trasmissione del virus non può avvenire negli istituti scolastici. Se è stato messo in pratica il distanziamento fisico necessario, anche grazie ai banchi monoposto che il governo sta acquistando, non è necessario che tutta la classe vada in quarantena. Altrimenti sarebbe solo propaganda parlare di rientro a scuola in sicurezza. Il punto fondamentale è far funzionare l’indagine epidemiologica che non c’è stata durante la prima fase della pandemia: perciò eravamo tutti chiusi in casa. Invece adesso occorre saper isolare soltanto le persone giuste per evitare nuovi lockdown, siano essi scolastici, cittadini o nazionali».
In copertina Paola Pedrini
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