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I No-Vax (con Kennedy Jr) fanno causa a Facebook: «Il loro fact checking è illegale»

19 Agosto 2020 - 08:20 Valerio Berra
A guidare la crociata contro il social network Robert F. Kennedy Jr, nipote del Presidente Jfk

La famiglia Kennedy ha attraversato decenni di politica degli Stati Uniti. Dopo la morte di Ted Kennedy nel 2009 sembrava però che anche per loro fosse arrivato definitivamente il momento di ritirarsi dalla scena pubblica. Sembrava. Perché un nuovo membro della famiglia è tornato in questi giorni nel dibattito pubblico, anche se in una forma che probabilmente non onorerà molto i suoi avi. Robert F. Kennedy Jr, nipote del Presidente John Fitzgerald, è il fondatore della Chidren’s Health Defense (Chd), l’associazione No-Vax che ha appena fatto causa a Facebook accusando il social network di averli oscurati ingiustamente. La Chd non ha attaccato solo Facebook ma anche il suo Ceo Mark Zuckerberg e le organizzazioni che si sono occupate in questi mesi di lavorare sulle notizie che venivano pubblicate sulla piattaforma riguardo i vaccini e il Coronavirus. Nella causa infatti sono citate anche PolitiFact, Science Feedback e Poynter. Oltre un danno di immagine, Chd lamenta anche di aver subito danni economici: i moderatori del social hanno deciso infatti di disabilitare la possibilità di fare raccolte fondi dalla pagina principale dell’associazione. Senza contare che molti loro post sono stati bollati come fake-news, riducendo il traffico del sito del 95%.

La battaglia (persa) sul Primo emendamento

Il Primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti garantisce la libertà di parola e di stampa. Nella sua causa Chd ha cercato di appellarsi proprio a questo, lamentando la necessità di farlo rispettare anche su Facebook. Il social di Zuckerberg, esattamente come tutti gli altri, è però una piattaforma privata, libera quindi di decidere quali contenuti permettere di pubblicare e in che forma farlo. Negli ultimi mesi questo tema è diventato sempre più seguito negli Stati Uniti, soprattutto dopo che il 26 maggio e il 29 maggio Twitter aveva moderato due post di Donald Trump. Il Presidente prima aveva definito una «truffa» le votazione via posta e poi aveva attaccato gli attivisti che manifestavano per l’omicidio di George Floyd. Nel primo caso il tweet di Trump era stato considerato privo di fondamenti, nel secondo caso la piattaforma aveva ritenuto che le parole incitassero alla violenza. Allora la reazione del Presidente era stata drastica: «Faremo dei regolamenti oppure chiudiamo i social, perché non possiamo permettere che questo accada».

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