Scuola, Azzolina: «Sopra il metro di distanza niente mascherine». E apre a norme diverse regione per regione
La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha sciolto i dubbi delle ultime ore. La linea condivisa tra ministero e Comitato tecnico scientifico è quella di rendere obbligatoria la mascherina a scuola solo nelle situazioni di movimento e quando viene a mancare il metro di distanza minimo. Non ci sarebbe dunque l’intenzione, come era parso ieri prima della riunione del Cts, di farla tenere a prescindere durante la permanenza in classe. Se le aule garantiscono il minimo distanziamento fisico, giù le mascherine anti-Coronavirus durante le lezioni.
D’altronde lo aveva detto lo stesso Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato, qualche ora fa: le mascherine «non sono maschere di ferro». E che il Cts fosse diventato particolarmente flessibile lo si era intuito già nella svolta del 14 agosto, quando è stato dato il via libera al rientro in classe anche senza distanziamento fisico.
Entrambi le parti comunque lo ribadiscono: sono misure temporanee da adottare fino a che non si arriverà al 100% del distanziamento – obiettivo sul quale il ministero continua a lavorare. Nel frattempo, bisognerà sperare che il metro sia sufficiente contro il contagio (per molti non lo è) e che gli studenti siano pratici a calcolare le distanze in movimento.
La questione delle Regioni
Un documento definitivo comunque ancora non c’è. Il Comitato si è riservato di mettere le decisioni nero su bianco dopo la seconda riunione, prevista per il 31 agosto, che sarà legata all’andamento dei contagi in Italia a ridosso di settembre. Intanto, dalla Regioni si sono alzati i primi fiati di contestazione. Già alterati per il mancato invito alla riunione di ieri sera, 19 agosto – incentrata sui criteri di priorità dell’invio dei banchi tra i vari territori – oggi alcune giunte hanno battuto i pugni contro le mascherine a scuola.
A tal proposito, Azzolina parrebbe non aver mai chiuso alla possibilità di una differenziazione regionale dei provvedimenti. Fonti del ministero confermano che più di una volta la ministra abbia chiesto al Comitato tecnico scientifico di provare a gestire le riaperture a seconda delle varie situazioni territoriali. Attualmente, però, l’andamento dell’epidemia è allo stesso tempo omogenea e imprevedibile in tutta Italia. Per questo, il Cts rimane ancora sulla posizione di una gestione nazionale del rientro, nonostante gli esperti non escludano che le cose possano in futuro cambiare.
A confermare l’apertura del Comitato a riguardo è anche Anna Maria Santoro, sindacalista di Flc Cgil, che ha presenziato alla riunione di ieri con il commissario Domenico Arcuri e la ministra, e che in questo periodo ha preso parte a tutti gli incontri con il Cts. «Miozzo ha detto testualmente di non escludere che ci potranno essere differenziazioni in futuro, per non infliggere sofferenze a Regioni con basso indice di contagio», ha dichiarato a Open. Al momento, però, la linea resta quella nazionale. Almeno fino alla riunione del 31.
Tra le Regioni che hanno fatto le prime polemiche c’è stato il Veneto. Per bocca di Elena Donazzan (Fratelli d’Italia) la Regione ha parlato di «tortura di mascherine durante le lezioni», che «rischia di peggiorare la salute degli stessi studenti». Certo, il Veneto non eccelle per numeri di casi positivi, ma possiede il vantaggio di strutture più adeguate alla gestione della distanza di sicurezza. Basti pensare che, in percentuale con la popolazione, sono stati richiesti solo il 15% di nuovi banchi singoli – contro il 69% della Sicilia e il 61% della Campania. Ed è altamente probabile che molti degli ordini al Sud siano stati fatti per compensare una mancanza storica di attrezzature.
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