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La difficile caccia ai superdiffusori, l’identikit di Galli e Crisanti: spesso asintomatici, contagiano decine di persone

Sono soggetti con un'alta carica virale, ma che si può individuare più facilmente subito dopo il contagio. Per questo è importante che il tampone venga fatto loro il prima possibile

Un’arma che potrebbe semplificare lo studio della trasmissione del Coronavirus passa dall’individuazione dei superdiffusori, soggetti con potrebbero avere una carica virale più alta della media e capaci quindi di contagiare più persone. Sulle loro caratteristiche, e quindi su come poterli individuare, gli esperti sono ancora divisi.

Come riporta la Repubblica, sono d’accordo però su quanto nelle ultime settimane siano emerse cariche virali più alte dai tamponi sia il il direttore dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, sia il microbiologo dell’Università di Bologna, Vittorio Sambri, che Andrea Crisanti dell’Università di Padova.

Gli indizi dal tampone

Il tampone di un superdiffusore si rivela nel corso dell’esame in laboratorio, quando il virus contenuto sul tampone viene replicato fino a 40 volte: «Quando si raggiunge una quantità soglia – spiega Galli – il test rileva il virus. Se questo avviene al ventottesimo ciclo, la persona ha una carica alta. Se avviene al quarantesimo, è minima».

Oltre ai metodi di rilevazione, a fare la differenza è il momento in cui viene effettuato il tampone: «Dopo il contagio aumenta – spiega Crisanti – per poi ridiscendere verso la coda dell’infezione. A Milano, nei mesi scorsi, hanno annunciato che i contagiati avevano cariche virali basse e la malattia era diventata più lieve. Molti in realtà erano tamponi effettuati sulla scia dei test sierologici positivi, quindi su persone avviate alla guarigione».

L’identikit del superdiffusore

Secondo Crisanti, i superdiffusori sono prevalentemente asintomatici o quasi: «Altrimenti non andrebbero in giro». Quel che è possibile fare oggi per identificarli però è solo un’analisi a posteriori, per quanto al momento non venga sempre riportata la carica virale sui referti, come invece andrebbe fatto secondo Galli. L’ideale però sarebbe riuscire a individuare prima i potenziali superdiffusori, capire le cause che li rendono tali: «Probabilmente genetiche», dice Crisanti.

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