«Vi racconto di mio marito, sano e giovane, ucciso dal Coronavirus dopo mesi di calvario» – L’intervista
48 anni, una moglie e un bambino. Un lavoro come programmatore nell’ufficio vicino al Duomo, nel cuore della città di Milano . La fortuna di una famiglia unita e una casa a Pantigliate, comune a poco più di mezz’ora dal centro. L’elenco delle cose che riempivano l’esistenza di Gianluca Moscardelli potrebbero continuare, con i pregi e i difetti di una vita onesta, ma deve necessariamente fermarsi in un ospedale, per cinque lunghi mesi che porteranno il padre di famiglia al decesso, pochi giorni fa.
Covid-19, polmoni bruciati, trapianto d’urgenza, una lotta che non è finita bene. E che Daniela Spina, la moglie di Gianluca, oggi racconta ad Open «perché tutti capiscano che non è uno scherzo, e che smettano di negare o di comportarsi come se niente di tutto questo fosse pericolo mortale».
«Mi sa che l’ho preso»
Raccontare un calvario non è cosa semplice, ma è forse necessaria per continuare o cominciare ad avere presente la serietà del periodo che il mondo sta vivendo. «Gianluca aveva lavorato fino a una settimana prima di ammalarsi», comincia la moglie Daniela, raccontando i primi giorni in cui il marito ha cominciato ad avvertire i primi sintomi. Sentiva stanchezza «e più o meno dal 20 di marzo, una leggera febbre comparsa a intermittenza, che però all’inizio non lo aveva impaurito».
Passano quattro giorni e la mattina del 24 marzo, Daniela trova Gianluca con la testa accasciata sul tavolo, «”Mi sa che l’ho preso” mi ha detto piangendo, si sentiva debolissimo», racconta la donna. In quel periodo, fase iniziale dei contagi che ben presto sarebbero aumentati a dismisura, i sintomi da Covid-19 non erano ancora ben chiari. Gianluca non sentiva sapori da un po’, il fare energico che di solito lo caratterizzava a lavoro, era cominciato a venir meno. «Sistemava un pc e poi si andava a stendere».
Mentre l’uomo respira a fatica, Daniela chiama l’ambulanza. Non prima di cercare aiuto nel medico di famiglia, «non allarmiamoci per nulla» le è stato risposto. I medici del 118 al telefono vogliono ascoltare la voce di Gianluca, «subito dopo hanno voluto parlare di nuovo con me, ordinandomi di disinfettare il telefono e di mettere qualcosa davanti la bocca sia a me che a mia figlio di 8 anni». La famiglia Moscardelli non ha mascherine in casa, «non erano ancora obbligatorie, ho cercato un panno di fortuna per me e il bambino», ricorda Daniela.
La visita dei medici parla chiaro, «saturazione bassissima, lo dobbiamo portare con noi» racconta la moglie. «Tuo marito è lì che ha bisogno di un abbraccio e tu non puoi», continua, ricordando la sofferenza di quel momento. Da lì Gianluca non è più tornato a casa, combattendo una lotta che non è riuscito a vincere. «Il medico dell’ambulanza mi ha ordinato di stare lontano da mio marito, mentre andavano via ci siamo abbracciati con lo sguardo».
Nessuna malattia pregressa
Gianluca Moscardelli era sano. Mai avuto malattie, nè patologie respiratorie ma la Covid-19 gli ha bruciato i polmoni. Non un modo di dire, «nessun terrorismo ma la realtà», come spiega Daniela, che ha portato i medici a optare per l’unica soluzione possibile, il trapianto.
Il primo ricovero è al San Raffaele di Milano, Gianluca risulta positivo al tampone per Covid-19. «Me lo aspettavo ormai, ma non immaginavo nulla sulla gravità. Era sano, giovane, mi dicevo che lo avrebbe superato», racconta Daniela.
Lei e il figlio di 8 anni rimangono a casa, sotto osservazione dell’Ats, mentre i medici li aggiornano quotidianamente sulla condizione dell’uomo. Anche Gianluca per adesso riesce a mandare qualche messaggio alla moglie:«Oggi mi hanno messo il casco»; «Faccio fatica a respirare».
Passano cinque giorni e la prima telefonata del medico del San Raffaele comincia a far capire che per Gianluca non sarebbe stato facile. «Suo marito non sta bene, la tac ci dice che i polmoni sono in gravissime condizioni», Daniela ripercorre le parole sentite dall’altra parte del telefono, alle quali seguì l’intubazione di Gianluca.
Dopo la notizia, una video chiamata dall’ospedale, pochi minuti in cui moglie e marito si vedono. «Ho cercato di tranquillizzarlo e di farmi vedere forte» ricorda Daniela. «Papà dai che sei come Iron man», stavolta anche William, il piccolo di 8 anni aveva voluto parlare col papà. «È stata l’ultima volta che io e mio figlio abbiamo visto mio marito senza tubi».
«Ho visto una guerra»
Una serie di ultime volte si rincorrono nei ricordi che Daniela racconta a raffica, fino al 9 agosto, data della scomparsa di Gianluca. Dall’intubazione le diagnosi infatti non migliorano. Dopo 10 giorni a Daniela viene detto che suo marito si è aggravato ulteriormente, polmoni compromessi. «Mi dicono che è necessario passare alla tracheo e all’utilizzo dell’Ecmo, il macchinario per la respirazione». Una pugnalata al cuore, come la definisce Daniela, che a quel punto chiede di vedere Gianluca almeno per dieci minuti.
«Ero disperata, mi sono assunta tutte le responsabilità e sono riuscita a convincere i medici dal cuore d’oro». Le viene consentito poco tempo, «Sarà una cosa nuova e forte, 10 minuti bastano», le dicono i medici. Bardata con tuta e tutto il necessario, la moglie di Gianluca entra nei capannoni creati per l’emergenza dalla raccolta fondi di Fedez e Chiara Ferragni. «Ho visto una guerra. A destra e a sinistra, giovani, anziani, donne e uomini. Tubi ovunque» ricorda la donna.
«Come il ragazzo di 18 anni»
Gianluca era ancora positivo alla Covid-19, per lei e il suo bambino Ats non si era ancora fatta sentire. «Ci hanno abbandonato, sono stati i medici dell’ospedale a intervenire e farci fare il tampone». William è risultato negativo, anche Daniela, risultata invece positiva al test per la ricerca degli anticorpi. A peggiorare la situazione il batterio ospedaliero della klebsiella, che colpisce tipicamente l’apparato respiratorio e che ha condotto Gianluca alla soluzione estrema del trapianto.
«Nessun antibiotico riusciva a debellarlo definitivamente, intanto Gianluca si indeboliva sempre di più», continua Daniela. I medici del San Raffaele propongono la soluzione del trapianto, «mi dicono di averla effettuata anche a un ragazzo di 18 anni con gli stessi problemi di Gianluca, ho accettato di farlo». Un’ultima spiaggia su cui il virus aveva lasciato Gianluca, ormai negativo al tampone ma con una traccia troppo grande nel corpo per poter sopravvivere.
«Andavo da lui tutti i giorni, cercavo di infondere forza, l’infermiera che mi aiutava a liberarmi delle bardatura quando uscivo, mi diceva “sei stata brava, sei vuoi adesso piangi”». Daniela non ha paura di ripercorrere tutte le debolezze affrontate e ribadisce la sua volontà di farle sapere al mondo, «perché non si neghi» e perché «mio marito possa riposare in pace come tutte le altre vittime, almeno potendo sentire da tutti la verità».
L’ultima speranza
Il trasferimento dal San Raffaele al Policlinico di Milano di Gianluca Moscardelli avviene l’8 di giugno. La notizia di un donatore era arrivata alle sei del mattino, «Ho dovuto scegliere io per lui perché non era in grado. So che avrebbe fatto la stessa cosa per me, darmi una speranza. L’ultima», dice convinta Daniela.
14 ore di intervento, operazione riuscita e una speranza in più per uscire dall’incubo. Nei dieci giorni successivi Daniela e William aspettano a casa di ricevere la buona notizia del risveglio. «I medici mi dicono che posso andare, che Gianluca era ancora collegato all’Ecmo ma in modo più lieve». Lo vede da una vetrata, Daniela. Giorni di visite da lontano fino a che arriva il permesso di poter entrare nella stanza. I nuovi polmoni stavano funzionando, «ma la cosa più bella è stata accorgermi che Gianluca non aveva più la tracheo», racconta. I medici le avevano fatto una sorpresa e anche il marito, che dopo essersi esercitato tutta la mattina, riesce a pronunciare alcune parole che la moglie non dimenticherà più. «Mi lascia la mano, si concentra e mi dice che mi ama. Poi pronuncia il nome di nostro figlio. Uno dei momenti più belli della mia vita».
Nel frattempo i reni di Gianluca sono affaticati, il batterio della klebsiella era tornato ma stavolta più forte di prima. L’uomo sprofonda in una debolezza ancora più acuta. «C’è qualcosa che non va, dobbiamo approfondire, mi dicono», continua Daniela.
A chi nega, l’appello disperato
Moscardelli viene messo in dialisi, reni e cuore sono affaticati, il batterio era entrato nel sangue, arrivando a danneggiare anche il midollo. Tutto il resto è la strada che porta Gianluca a spegnersi definitivamente la mattina del 9 agosto, «con le linee del macchinario che diventavano piatte» come racconta Daniela, abbracciata ai dottori «che ormai consideravano mio marito un fratello».
«Siamo stati vicini fino all’ultimo respiro» dice la donna, un respiro che è stato interrotto troppo presto «da un maledetto virus». A chi nega, a chi dubita della buona salute del marito prima del contagio, a chi si rifiuta di mettere la mascherina, a chi prende il pericolo sottogamba, la donna continua a rivolgere il suo appello disperato. Usa i media, «troppo spesso responsabili di una comunicazione distorta di cui io stessa sono stata vittima», e i social, come un diario dove poter condividere la storia e la memoria «di un uomo buono portato via da un virus cattivo».
Leggi anche:
- Coronavirus. L’inventore del tampone Kary Mullis ha detto che non serve? Falsa citazione dei complottisti
- Coronavirus, al via la sperimentazione del vaccino italiano allo Spallanzani: «Pronto in primavera»
- L’immunologo Mantovani: «Le ipotesi di un virus più gentile servono a confondere. No alle scorciatoie per il vaccino»
- La difficile caccia ai superdiffusori, l’identikit di Galli e Crisanti: spesso asintomatici, contagiano decine di persone
- Coronavirus, Trump: «Via libera della Fda alla terapia del plasma»