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La febbre va misurata a casa o a scuola? Neanche i pediatri sono d’accordo. Villani: «Chi meglio dei genitori?». Biasci: «Più sicuro un addetto scolastico»

Genitori sì, genitori no: chi deve assicurarsi che i bambini non abbiano la febbre prima di entrare in classe? Anche i medici si scontrano sul fronte della misurazione domestica

I tempi per decidere sulla riapertura delle scuole si restringono sempre di più. Parallelamente, i fronti di discussione si moltiplicano di ora in ora. L’ultima questione che vede scontrarsi due posizioni opposte riguarda l’efficacia della misurazione domestica della temperatura nella gestione dei contagi da Coronavirus. Sul nodo non si dividono solo le fazioni politiche: anche i pediatri sembrano avere opinioni contrastanti.

La scelta di lasciare ai genitori il compito di controllare la febbre in tempi di pandemia aveva già creato dibattito le scorse settimane, quando la ministra Lucia Azzolina aveva diffuso il protocollo di rientro stilato con il Comitato tecnico scientifico. Il tema è diventato cruciale dopo la pubblicazione del documento dell’Istituto Superiore di Sanità lo scorso 21 agosto in merito alla prevenzione dei cluster negli istituti.

Da una parte, tutti gli addetti ai lavori sembrano essere d’accordo sulla necessità di coinvolgere le famiglie nel controllo. Dall’altra, però, l’efficacia della strategia domestica non convince parte degli esperti. Il virologo Andrea Crisanti lo aveva già definito «antiscientifico» in un dialogo con Open, e ora, a poche ore da un altro vertice stato-regioni sull’obbiettivo settembre, anche una quota di pediatri prende le distanze dalle indicazioni del governo.

Il fronte del no: misurare a scuola, anche a costo di «perdere tempo»

Paolo Biasci, presidente del Federazione italiana dei medici pediatri, ha spiegato alla Stampa che, nonostante sia positivo corresponsabilizzare le famiglie sulla sicurezza sanitaria, «saremmo tutti più tranquilli se la temperatura venisse misurata all’ingresso delle scuole da personale addetto, anche a costo di riorganizzare l’orario di entrata e perdere un po’ di tempo».

Da questo punto di vista sono già emersi i primi esperimenti “controcorrente”. Fin da prima dell’annuncio dell’acquisto dei termoscanner da parte di Vincenzo De Luca per la Regione Campania, ai quartieri Spagnoli di Napoli si era già deciso di scaglionare gli ingressi (ipotesi suggerita, tra l’altro, dal Comitato tecnico scientifico) per consentire la misurazione agli istituti senza assembramenti.

Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio, insomma: non è un mistero che la grande attenzione alla scuola in vista di settembre derivi anche dalla necessità di rimandare a lavoro i genitori.

Il fronte del sì: «chi meglio dei genitori?»

Non mancano però i pareri contrari. Lo scorso 24 agosto, il presidente della Società Italiana di Pediatria (Sip), Alberto Villani, ha commentato il documento dell’Iss definendo la misurazione domestica – e non agli ingressi delle scuole – «una misura di buon senso». «Ritengo sia giusto responsabilizzare le famiglie sullo stato di salute dei figli», aveva detto, perché «non si può delegare tutto».

Oggi, 26 agosto, Villani è tornato a ribadire la sua posizione in un’intervista al Corriere della Sera, spiegando che la buona salute di un bambino non dipende da un unico parametro (la febbre oltre i 37,5°C) , ma «dalla valutazione di coloro che vivono accanto ai figli e li conoscono bene». Chi meglio dei genitori, dice il presidente Sip, è in grado di capire se stanno bene?

D’altro canto, dice Villani, pensare di mettere un guardiano della temperatura agli ingressi «con la pistola» non è pensabile. E su questo è d’accordo anche il Ministero dell’Istruzione, che, pur lasciando autonomia ai territori, rimane dell’idea che sia controproducente creare assembramenti fuori dalle scuole per misurare la temperatura. Meglio la misurazione a casa, come già indicato dagli esperti del Cts.

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