Spesi finora 10 miliardi per l’emergenza Covid-19: solo il 3% con una gara pubblica. E i dati sono ancora segreti. Openpolis: «Il governo smetta di lavorare nell’ombra» – L’intervista
Quasi 10 miliardi di euro spesi fino ad oggi per l’emergenza sanitaria da Covid-19. Ma fornire dati trasparenti e rendicontati pare non sia nelle priorità del governo in questi mesi. Lo dice Openpolis, che ha provato a rispondere alla domanda su come vengono gestiti i soldi nell’emergenza Covid, andando a recuperare i bandi finora pubblicati e trovando non poche difficoltà nel fare chiarezza. Vincenzo Smaldore, di Openpolis, spiega quanto raccolto dall’osservatorio.
Dott. Smaldore, perché l’esigenza di un osservatorio sui bandi Covid?
«Un servizio civico che sarebbe dovuto arrivare già da tempo da parte del governo. Ma non è stato così. Nel corso di questi mesi abbiamo chiesto al governo e quindi al commissario Arcuri che facessero loro un’operazione di trasparenza e di informazione sulle attività che stavano portando avanti, tra cui anche la gestione delle risorse economiche. Arcuri pubblicamente aveva promesso un’operazione di trasparenza che invece non è mai esistita. Basti pensare che l’83% degli importi in gioco sui bandi della struttura commissariale si sono chiusi con esito sconosciuto».
Il commissario Arcuri ha parlato del pericolo di una strumentalizzazione dei dati, paura legittima?
«Questa non può essere una motivazione considerabile. Da quello che si evince dai dati, nel periodo che va da inizio pandemia fino a luglio, la spesa pubblica si è concentrata nel recuperare un ritardo del sistema sanitario. Su questo non ci si può nascondere, né temere strumentalizzazioni. Ora la sfida è negli ulteriori comparti che riguarderanno la spesa, scuole a trasporti pubblici.
Ha parlato di poca trasparenza dei dati, cosa avete potuto raccogliere e cosa è rimasto incerto?
«Abbiamo provato a capire come poter aggregare le informazioni pubbliche disponibili da diverse fonti per poter realizzare un osservatorio civico e quindi un punto di riferimento e di monitoraggio aperto a tutti i cittadini. Siamo andati a prendere i dati dalla struttura commissariale, dalla Protezione civile, dalle Regioni, dagli appalti e dai contratti pubblici tramite la banca dati di Anac in modo da riuscire a creare un unico database. I limiti ci sono stati.
Basti pensare che la banca di Anac non viene più aggiornata dal 17 luglio per problemi tecnici. Questo frena la possibilità di avere un accesso aggiornato ai dati. Per non parlare dell’inesistenza di voci ad hoc da parte dei centri di spesa su Covid-19».
Sulle procedure di bando?
«Solo il 3% degli importi spesi è stato messo a gara con procedure aperte. Per il resto si è preferito procedere con assegnazione diretta o prestazione negoziale. Oltre il 40% dei lotti e degli importi base d’asta sono stati affidati con questa modalità, che prevede quindi che le stazioni appaltanti possano negoziare la fornitura consultando direttamente un minimo di 5 operatori economici.
Quando 10 miliardi vengono spesi in maniera non trasparente nasce l’elemento di riflessione. Così come per la decisione iniziale del governo che l’emergenza sanitaria dovesse essere gestita dalle singole Regioni».
In che senso?
«Se andiamo a capire cosa è successo con i contratti pubblici si vede che abbiamo avuto un’enormità di pubbliche amministrazioni che sono andate sul mercato, 514 amministrazioni che fanno gare di appalto sono un numero importante. La gestione così diversa dell’emergenza ha creato inevitabilmente sovrapposizioni, diseconomie, insistenza delle pubbliche amministrazioni su un mercato saturo, creando anche un effetto competizione non positivo».
Sulle singole imprese invece cosa si sa?
«Anche qui un elemento meritevole di attenzione è che risultano più di 700 imprese coinvolte, tra cui molte straniere che stanno partecipando alla fornitura dei servizi inerenti all’emergenza. Il problema è che oltre la metà dei lotti sono scaduti, ma non è possibile ricostruire se e a chi siano stati aggiudicati. C’è un errore tecnico non di poco conto, soprattutto per il ciclo di revisione, fondamentale in un momento come questo».
Quali sono i rischi?
«Il rischio principale è venire a sapere le cose dalla magistratura. Quando è ormai troppo tardi e si è arrivati al malaffare».
Le procedure hanno subito un periodo di forte complessità, quanto le lacune che evidenziate potevano essere evitabili?
«Negli ultimi mesi è passato un concetto sbagliatissimo. E cioè che la trasparenza sia un intralcio all’agire veloce, alla necessità di operare efficacemente in emergenza. Niente di più pericoloso.
Dal 2012 il governo Monti con l’app “decreto trasparenza” ha inserito proprio la trasparenza nei codici della pubblica amministrazione. Per cui rendere pubblici e accessibili tutti i dati è da considerarsi un obbligo di legge a tutti gli effetti, oltre che un prerequisito di buona amministrazione.
In ultimo bisogna sempre tenere in conto che la gestione è stata esclusivamente una scelta politica. All’inizio dello stato di emergenza, Borrelli che è un capo dipartimento della Presidenza del consiglio dei ministri, e che quindi rimanda necessariamente all’interlocutore politico del governo, ha stabilito che lo stato d’emergenza si potesse fare in deroga a già presenti leggi. Non era certo l’unica strada possibile, è stata una scelta politica».
Un principio teorico quello della trasparenza che, se rispettato, a quali implicazioni pratiche condurrebbe?
«Monitoraggio, verifica, revisione e dibattito pubblico consapevole. La possibilità di analizzare quello che è stato fatto e poterlo migliorare, insieme alla vicinanza del cittadino alle istituzioni, in questo momento elemento fondamentale».
Parla di revisione e miglioramento, le sfide che ora attendono la spesa pubblica si allargano anche alle scuole e ai trasporti pubblici.
«E vedremo quanti miliardi su scuola e trasporti verranno spesi in maniera del tutto opaca, senza nessun tipo di controllo.
È per questo che lanciamo un appello ad Arcuri, e ancor prima al governo, affinché si predisponga un meccanismo che consenta a tutti di contribuire a un dibattito pubblico sano.
Le future partite da giocare riguarderanno l’emergenza ma avranno un respiro più ampio e sono tutte partite di miliardi di euro. È bene dunque che venga messa subito in essere una procedura aperta di rendicontazione di quello che viene fatto».
A questo proposito, uno dei temi di dibattito in questi giorni è la riapertura delle scuole.
«La necessità di certezza su cosa verrà comprato, quanto e da chi viene pagato, non vale solo per mascherine e camici ma anche per i banchi di scuola. Il tema della riapertura si fa determinante, e non può certo sfuggire che al momento non c’è alcuna informazione sulla fornitura di banchi.
Su quali sono le imprese vincitrici, quali le specifiche tecniche dei prodotti, le imprese che si stanno aggiudicando gli appalti per centinaia di milioni. A chi appartengono? Hanno una capacità economico-finanziaria tale da supportare una commissione così importante?
Tutte domande a cui è necessario dare una risposta. Se queste sono le strumentazioni che Arcuri pensa di adottare direi che siamo messi male. Non ho necessità di insinuare il dubbio sull’operato, ma magari proprio attraverso dati pubblici e chiari si possono mettere in evidenza i risultati positivi. Senza informazioni ci si limita alle tifoserie e alle fake news che di certo non aiutano.
Quali sono le prospettive future di spesa?
«Ci aspettano scelte importanti. Il Comitato tecnico scientifico sta facendo valutazioni sul fabbisogno giornaliero di mascherine che si avrà con la riapertura degli istituti scolastici. I numeri aumenteranno, la spesa sarà costante se non in aumento rispetto al periodo del lockdown. Il governo non può permettersi di agire nell’ombra».
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