L’altra costa della movida: da 700 tamponi, trovati almeno 50 positivi, tutti infettati in un’unica serata. «Ecco come tracciamo il Coronavirus in Romagna»
Al primo ragazzo testato dalla Ausl Romagna, pochi giorni fa, è stato chiesto: «Dove sei stato a Ferragosto?». E il paziente, positivo al Coronavirus, ha indicato il nome di un locale. Poi è arrivato un secondo, un terzo, un quarto caso di contagio: tutti facevano il nome della stessa serata. Fin quando, alla decima persona infetta che aveva detto di aver ballato in quel club, l’azienda sanitaria, il 23 agosto, ha lanciato un appello ai ragazzi della zona: se il 15 agosto si è stati in quella discoteca, testarsi è gratuito. Anzi, è un atto doveroso per evitare di contagiare inconsapevolmente altre persone.
È iniziata così l’indagine epidemiologica e, man mano che arrivano i risultati dei 700 tamponi già prenotati per i giovani, si delineano le caratteristiche di un vero e proprio cluster: il suo epicentro è l’Indie Club di Cervia. Alla serata di Ferragosto hanno partecipato circa 1.500 ragazzi. Al momento, sono più di 50 le persone positive con un legame con quell’evento. «La discoteca di Cervia è stato il punto di partenza: se avessimo fatto lo stesso tipo di indagine su ragazzi che hanno frequentato un altro, sono convinta che avremmo trovato una situazione simile».
A parlare a Open è Raffaella Angelini, responsabile della Sanità Pubblica della Romagna che sta coordinando la ricerca dei casi sommersi, figli della movida vacanziera di agosto. «Il rischio, che è quasi una certezza, è che la stessa situazione che per caso abbiamo individuato a Cervia si sia creata in altri locali lungo tutta la Riviera. Potenzialmente potremmo avere tanti cluster di questo tipo: il rilassamento nel rispetto delle regole da parte dei giovani è la causa della recrudescenza dell’epidemia in questa zona».
Dottoressa, la Riviera era un’area a rischio per la tipologia di turismo. Perché non sono state adottate più restrizioni prima dell’inizio dell’alta stagione?
«Fino a pochissimo tempo fa non abbiamo avuto dei grandi segnali di problemi epidemici insorti a causa delle attività turistiche della Riviera. C’è un bias, però, in questo discorso: le Ausl lavorano sulla popolazione residente, per i turisti che arrivano da altre zone di Italia o dall’estero potremmo non avere un quadro della situazione completo. Fino a domenica scorsa, comunque, non c’era alcun motivo di preoccupazione».
Poi cosa è successo?
«Ci siamo resi conto che un certo numero di positività individuate aveva un comune denominatore: il fatto di aver frequentato lo stesso locale, una serata nello specifico. È successo domenica scorsa».
Quali sono le condizioni, al momento, di queste persone contagiate?
«Stiamo parlando di una fascia di età molto bassa: si tratta di ragazzi tra i 16 e i 20. Una delle criticità è che la percentuale di positivi sul numero di tamponi fatti tra questi giovani romagnoli è molto elevata. Per fortuna, clinicamente, sono quasi tutti asintomatici. Qualora abbiano dei sintomi, si tratta di problemi lievi come un raffreddore o poche linee di febbre».
Siete una seconda Sardegna?
«Non è una situazione analoga: lì ci sono le prove epidemiologiche che i cluster sono diffusi lungo tutta la Costa Smeralda. Da noi, per il momento, l’indagine si concentra nel Ravennate. Inoltre, mentre in Sardegna l’età dei contagiati, benché prevalentemente giovani, è più stratificata, da noi la maggior parte degli infetti ha meno di 20 anni. Sono sicura però che, se andassimo a indagare più a fondo, i ragazzi che hanno contratto il virus in seguito agli assembramenti sarebbero molti di più».
Come mai parla solo di giovani? Non c’erano anche degli adulti a quelle serate?
«Mi duole dirlo, ma i soggetti che non rispettano il distanziamento fisico sono quasi tutti giovanissimi. Da quello che osserviamo attraverso le interviste ai ragazzi sottoposti a tampone, appaiono poco inclini a rispettare le norme di prevenzione. Anzi, in molti casi c’è proprio una sottovalutazione arrogante. Questo comportamento ha fatto sì che il ruolo della vacanza in Riviera prenda sempre più importanza nella diffusione del virus, in regione e nel Paese».
Come vi siete mossi per isolare subito i possibili positivi?
«Abbiamo fatto un appello rivolto agli utenti di questo locale. Ma riteniamo che i contagi non siano avvenuti soltanto lì: dall’indagine epidemiologica emerge che i ragazzi che hanno frequentato il club di Cervia a Ferragosto, la sera prima erano in un altro locale, quella seguente erano a ballare altrove. I ragazzi positivi al tampone hanno avuto tutti gli stessi comportamenti: una certa “mobilità festaiola” e poca osservanza delle regole».
State scandagliando tutti gli avventori delle discoteche della Riviera?
«No. Se c’è una situazione ricorrente, com’è capitato per la discoteca di Cervia, si agisce in questo modo. Per le situazioni più svariate, si va a limitare essenzialmente la cerchia dei contatti stretti. Purtroppo, in questo senso, stiamo riscontrando poca collaborazione tra i giovani: sono consapevoli che, in caso di positività, scatta l’isolamento e non vogliono giocarsi l’ultimo scorcio di estate. Poi, dopo la chiusura delle discoteche stabilita dal governo, stiamo ravvisando una serie di comportamenti ancora più pericolosi perché meno controllabili, come feste private in piscina o aperitivi in spiaggia auto-organizzati».
Crede che ci sia una sorta di responsabilità dei gestori della discoteca di Cervia?
«No, ripeto: la discoteca di Cervia è stata solo il punto di partenza di questa situazione. Se avessimo fatto lo stesso tipo di indagine sui ragazzi che hanno frequentato un altro locale, sono certa che avremmo trovato una situazione simile. Dall’inchiesta epidemiologica si evince che quella all’Indie Club è stata una tra le tante uscite. Nell’arco dei 14 giorni centrali di agosto, i giovani hanno fatto di tutto. Questo mi porta a dire che l’incidenza di comportamenti rischiosi, sotto il punto di vista della trasmissibilità del virus, in questa fascia di età è molto diffusa. Per giunta la malattia, che tende a essere così lieve nei ragazzi, contribuisce a una scarsa adesione alle misure di prevenzione».
Come stanno reagendo gli ospedali a questa nuova emergenza?
«Non esiste un problema sul piano clinico: nessuno di questi giovani sta male, a parte qualche lieve sintomo. L’aspetto critico è che questi ragazzi diventano vettori del virus nelle famiglie. Perciò la raccomandazione che cerchiamo di fare consiste nel chiedere a questi giovani più senso di responsabilità nell’affrontare la situazione, a protezione dei famigliari: testatevi e raccontate tutta la verità!».
Insomma, i giovani non le sembrano abbastanza spaventati.
«Capita di ascoltare storie di ragazzi arrivati a mezzogiorno da Malta e che, la sera, sono a folleggiare nella Riviera: hanno molta vitalità e tante opportunità in questa zona dell’Italia. Ribadisco ancora una volta, però, che è difficile attribuire a un singolo luogo l’epicentro del focolaio. Siamo partiti dall’osservazione su una discoteca, abbiamo selezionato un campione di popolazione che era stata in un specifico giorno in quel luogo. Ma se avessimo scelto un altro luogo con le stesse caratteristiche, avremmo trovato probabilmente la stessa situazione. Quindi, potenzialmente, questi contagi si sono diffusi tra i giovani lungo tutta la Riviera».
Le sembra di essere tornata alla situazione epidemica, almeno per quanto riguarda il numero dei nuovi casi, di qualche mese fa?
«Questo genere di malati sono persone che non vedevamo mesi fa. Adesso siamo tutti concentrati a cercare gli asintomatici per arrestare la diffusione e, nello stesso tempo, questa ricerca attiva fa aumentare il numero di casi. È come se adesso stessimo indagando in quella base dell’iceberg di cui, in primavera, vedevamo soltanto la punta emersa con i pazienti più gravi. Certo, i numeri si somigliano, ma il loro contenuto e tanto differente».
Settembre è un mese caldo per diversi aspetti, dal ritorno al lavoro alla riapertura delle scuole. Come vi state muovendo?
«In previsione dell’apertura delle scuole, stiamo pensando a una strategia per andare a intercettare direttamente questi ragazzi. Sono ipotesi da confrontare al nostro interno per vederne anche la sostenibilità, ma l’idea è di fare uno screening diretto sui ragazzi. Purtroppo non è semplice, perché il contact tracing è un lavoro che non si fa a macchina, ma manualmente. Bisogna cercare, intervistare e spesso accettare risposte negative. All’inizio dell’epidemia, la situazione era più critica e le persone collaboravano. A volte, adesso, si fa difficoltà a raccogliere informazioni attendibili».
Per quanto riguarda i rientri dalla Sardegna, avete adottato un protocollo particolare?
«Non andiamo a cercare le persone che ritornano da lì perché non c’è l’obbligo di segnalarsi alle autorità sanitarie. Per questo, abbiamo un approccio molto ampio: a chi ci segnala, e noi invitiamo tutti a farlo, l’arrivo dalla Costa Smeralda, offriamo il tampone gratuito. Per questi casi non viene disposto l’isolamento a priori: solo se la persona risulta positiva parte la quarantena e il contact tracing. Ma è inutile fare la caccia alle streghe verso i viaggiatori sardi se i focolai della movida ce li abbiamo sulla nostra stessa Riviera».
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