Scuola, il fronte delle Regioni blocca gli ingressi scaglionati. I presidi: «Era una soluzione sensata»
8 milioni di studenti e non si sa dove metterli. Quello del trasporto degli studenti a scuola è uno dei nodi più stretti della corsa all’autunno per il ritorno in aula dopo il lungo stop causato dalla pandemia di Coronavirus. Un groviglio complicato, reso ostico sia dalla posizione delle Regioni, che pressano sul governo per avere una soluzione rapida mettendo però numerosi paletti, sia dalle opache proposte delle istituzioni. Negli ultimi giorni di vertici e tavoli, la ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha avanzato numerose strategie – alcune delle quali poco convincenti, come quella dei compagni di classe intesi come congiunti -, ma su quella che potrebbe essere una soluzione realistica si sta puntando poco: l’ipotesi ingressi scaglionati. Un nuovo vertice Stato-Regioni è previsto per la giornata di oggi, 28 agosto.
Antonello Giannelli, presidente dell’Associanzione nazionale dei presidi, ha spiegato al telefono che si tratta di un’ipotesi sensata. Ma che non può essere lasciata semplicemente all’autonomia degli istituti: «Non è possibile decidere nulla sugli orari dello scaglionamento se non ci sono indicazione precise dalle singole aree geografiche», sottolinea. «C’è bisogno da una parte che le società, possedute dagli enti locali, ci dicano che tipo di capacità hanno; dall’altra che le Regioni, spesso co-proprietarie delle società, coordinino la nuova organizzazione».
Il no delle Regioni
Il tema ha radici, si fa per dire, più lontane nel tempo. Già prima del verbale del Comitato tecnico scientifico del 12 agosto – quello in cui si era accettata una deroga temporanea al metro di distanza in classe – e del recente documento dell’Istituto superiore di sanità, la possibilità di dividere gli ingressi e le uscite per fasce orarie era stata bocciata. Ma non tanto dal ministero: la ministra Lucia Azzolina aveva proposto a giugno lo scaglionamento per fasce d’età per evitare affollamenti sui mezzi di trasporto. Piuttosto, a mettere il veto era stata la rosa delle Regioni.
Lo scorso 13 giugno, in un documento inviato al ministero dell’Istruzione, la conferenza aveva bocciato sia il ricorso ai divisori in plexiglas, sia lo scaglionamento per classi. La soluzione, dicevano i presidenti, rischierebbe di mettere nel caos tanto le città e trasporti, quanto l’organizzazione familiare. La loro strategia alternativa presentata riguardava un ingresso con distanziamento di un metro tra i ragazzi e le ragazze.
Il distanziamento agli ingressi, però, è una delle questioni che ha lasciato nel dubbio il ministero (e i sindacati), che non credono sia un’ipotesi realistica. Da qui anche la decisione di far misurare la temperatura a casa («così si evita anche di far salire i positivi sui mezzi», aveva detto Azzolina). Anche questo è poi diventato fronte di discussione, tanto che il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri ha riconosciuto che un doppio controllo – sia a casa che con i termoscanner – è utile.
Alla volontà delle Regioni sugli ingressi regolari se ne aggiunge un’altra: i presidenti – su tutti quelli del centrodestra come Giovanni Toti, Attilio Fontana e Luca Zaia – chiedono di poter far viaggiare sui bus a capienza normale, facendo a meno (come in alcuni casi già fanno, tipo in Lombardia) delle restrizioni in vigore in questi mesi. La motivazione è sempre la stessa: col poco tempo a disposizione, è impensabile organizzare lo stanziamento delle risorse e l’aumento delle corse.
Su questo punto è poi virata la discussione degli ultimi giorni, che ha spinto un’altra volta il Cts a rinnegare la propria rigidità. Nell’audizione di oggi in Commissione cultura, ha confermato il compromesso (tanto strategico quanto fumoso) dei bus pieni per massimo 15 minuti. Ancora una volta, la questione del tempo e dello spazio per la gestione della Covid-19 pare fare acqua da tutte le parti.
La scelta (illusoria) agli istituti
Ma intanto il tempo corre. E mentre si decide di quale altra precauzione fare a meno per venire incontro alle tempistiche, ai dirigenti scolastici rimane l’urgenza di organizzare i rientri. Nelle protocollo diffuso dal Ministero il 6 agosto, Azzolina non aveva chiuso all’ipotesi scaglionamento: ogni scuola – si leggeva nel testo – potrà disciplinare a piacimento le modalità di ingresso e uscita, anche con ingressi scaglionati qualora lo ritenesse opportuno, sempre rimanendo nei criteri di sicurezza del Comitato tecnico scientifico (e cioè la “differenziazione dei percorsi interni e dei punti di ingresso e i punti di uscita” e la segnaletica per il distanziamento).
Si fa presto, però, a parlare di autonomia: senza una collaborazione tra gli istituti, gli enti local, le regioni e il governo, i presidi sono bloccati alle possibilità dei propri territori. Qualche scuola ha già comunicato che procederà con gli scaglionamenti, ma sono eccezioni virtuose più che la regola a cui fare riferimento: «Ci possono essere realtà locale fortunate – ha spiegato Giannelli – ma il grosso dipende dal sistema di trasporti pubblico».
«I trasporti pubblici sono differenziati su base provinciale e comunale: le società sono possedute dagli enti locali, e sono loro a dover dire quali sono le loro capacità in tema trasporti. Noi – conclude Giannelli – stiamo facendo uno sforzo colossale per fare entrare gli studenti a scuola. Ma se poi non arrivano è tutto inutile. Un autobus porta alunni da tutte le classi, ma se poi arrivano solo quelli da una determinata zona…».
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