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Perché la Francia è di nuovo in emergenza Covid? I ricercatori: «I cittadini hanno abbassato l’attenzione, uno su due non mantiene le distanze di sicurezza»

Per Antonella Viola, immunologa dell'università di Padova, l'estate ha portato troppa spensieratezza. I gestori di locali e stabilimenti balneari francesi lamentano lo scarso uso di mascherine. I dati dell'Iserm di Parigi

«La dinamica di progressione dell’epidemia è esponenziale» e «gli indicatori ospedalieri sono in aumento». Così il ministero della Salute francese ha descritto la situazione della pandemia in Francia e l’aumento record registrato ieri con più di 7mila nuovi casi individuati.

Come in Italia il numero delle morti rimane stabile, mentre la grande fetta dei nuovi infetti è composta da giovani. Ma l’impennata della curva – la più alta registrata da marzo – ha portato il presidente francese Emmanuel Macron a non escludere – come invece fatto in precedenza – un nuovo lockdown. «La quarantena è la misura più severa per combattere un virus», ha affermato Macron, esortando le persone a essere «collettivamente molto più rigorose».

Le vacanze e le mascherine

Ma nonostante la pandemia tre quarti dei cittadini francesi non ha rinunciato alle vacanze quest’anno. Imprenditori e gestori di locali e stabilimenti balneari hanno lamentato la difficoltà di far rispettare l’uso di mascherine e il distanziamento sociale. L’uso di dispositivi di protezione è stato reso obbligatorio nei luoghi di lavoro solo il 18 agosto e l’obbligatorietà per strada è entrata in vigore solo ieri. 

Anche alla luce di questi fattori, secondo Antonella Viola, immunologa dell’Università di Padova, questa crescita non è una sorpresa: «Era abbastanza ovvio accadesse», dice a Open. «In Italia come in Europa siamo riusciti a tenere a bada il contagio grazie a delle misure molto severe», afferma Viola secondo la quale, in particolare nel nostro Paese, all’inizio dell’estate – nonostante le riaperture – si è beneficiato degli effetti positivi di un lockdown molto duro fino a fine primavera.

In Francia l’indice Rt è tornato a toccare l’1,5, soprattutto nelle zone costiere. «L’estate con un clima di festa porta più spensieratezza e le persone hanno smesso di preoccuparsi. L’abbiamo visto in varie occasioni. Ci si abbraccia e tutto questo clima di serenità ha portato anche un po’ di avventatezza e il prezzo si paga in termini di contagi più alti», afferma Viola.

«In Italia gli over 50 hanno mantenuto alta l’attenzione»

Secondo Vittoria Colizza la direttrice dell’istituto francese per la ricerca sanitaria e medica (Iserm) in effetti l’attenzione al distanziamento fisico in Francia è diminuita del 30% durante i mesi estivi. E una persona su due non mantiene più le distanze di sicurezza, elementi che stando ai dati potrebbero essere stati determinanti nella nuova crisi.

Un’attenzione che secondo Viola – almeno in Italia – è rimasta alta tra gli over 50: «Sono stati molto responsabili, anche visti rischi maggiori legati alla loro età. La prima ondata è stata un trauma per l’Italia».

«In autunno servono comportamenti responsabili»

Ora la sfida maggiore riguarda l’arrivo dell’autunno e l’apertura delle scuole. «Molto di quello che accadrà in Francia così come in Italia dipenderà dal comportamento individuale, da una parte, e dalla tempestività delle istituzioni di aumentare il numero dei test e ricostruire la catena dei contagi, dall’altra», dice Viola.

Visti i numeri attuali in Francia la situazione in autunno potrebbe essere ancora più esplosiva ma «nonostante le molte variabili, se la popolazione tornerà a evitare comportamenti dannosi e a rispettare le misure di prevenzione forse vedranno un appiattimento della curva. Ma dobbiamo stare attenti in Italia: se molliamo la presa i casi cresceranno anche da noi».

Foto copertina: EPA/IAN LANGSDON

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«Saluti romani, camerata Reina»: il benvenuto fascista degli ultras della Lazio al portiere spagnolo, simpatizzante di Vox

29 Agosto 2020 - 15:35 Redazione
Lo striscione è apparso in Corso Francia, a Roma. In più di un'occasione l'estremo difensore ha manifestato il proprio sostegno al movimento di Santiago Abascal

«Saluti romani, camerata Reina!»: con questa scritta, alcuni ultrà della Lazio hanno dato il benvenuto al portiere spagnolo Pepe Reina, appena arrivato dal Milan. Mentre la squadra è in ritiro ad Auronzo di Cadore, in Veneto, alcuni tifosi hanno appeso uno striscione lungo Corso Francia a Roma su cui è apparsa la scritta fascista, a caratteri cubitali.

L’arrivo del portiere spagnolo, campione del mondo nel 2010 e d’Europa nel 2008 e nel 2012 con la nazionale spagnola, è stato ufficializzato il 27 agosto scorso. A suscitare l'”entusiasmo” di questi ultrà biancocelesti sono state alcune affermazioni fatte dal portiere (anche ex del Napoli e del Barcellona) sul movimento di estrema destra spagnolo, Vox.

I precedenti

L’ultimo apprezzamento risale a maggio 2020 quando sui social Reina si è espresso a favore delle manifestazioni organizzate da Vox contro le restrizioni introdotte dal governo socialista di Pedro Sanchez per contrastare la diffusione del Coronavirus in Spagna (a marzo il leader di Vox Santiago Abascal è risultato positivo).

Ma già durante uno dei dibattiti elettorali in vista delle ultime elezioni, il portiere aveva fatto sapere di simpatizzare per Abascal. «E se era chiaro prima del dibattito. Adesso è molto più chiaro», aveva scritto in un messaggio su Twitter, accompagnato da una bandiera spagnola. Anche se il partito di Abascal non è dichiaratamente fascista, la sua ideologia è di chiaro stampo nazionalista e xenofobo/islamofobo.

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Coronavirus, Flavio Briatore dimesso: ora l’isolamento a casa Santanchè. Ai giornalisti: «Non avvicinatevi o vi attacco tutto» – Il video

29 Agosto 2020 - 15:05 Redazione
L'imprenditore era intenzionato a trasferirsi subito nella sua casa di Montecarlo, ma i medici gli avrebbero consigliato di non allontanarsi da Milano

Flavio Briatore è stato dimesso dal San Raffaele di Milano, dove era ricoverato da domenica, dopo essere risultato positivo al Coronavirus. L’imprenditore, proprietario del Billionaire, resterà a Milano per il periodo di isolamento domiciliare, ospite nella residenza di Daniela Santanchè, sua amica e senatrice di FdI, in zona Corso Vercelli. In un primo momento Briatore era intenzionato a trasferirsi subito nella sua casa di Montecarlo ma i medici gli avrebbero consigliato di non allontanarsi dal capoluogo lombardo. Arrivando alla residenza di Santanchè, Briatore s’è rivolto ai giornalisti scherzando: «Non avvicinatevi, attenzione che vi attacco tutto». Poi, a quanti gli chiedevano come si sentisse, ha risposto: «Bene, bene».

«È sotto gli occhi di tutti che ci stanno massacrando, forse io e Flavio Briatore in questo momento siamo molto utili come arma di distrazione di massa con i tanti problemi che ha questa nazione ma pazienza, le nostre spalle sono grosse», ha detto Santanchè in un discorso ai clienti del Twiga, il suo locale in Versilia, come si vede nel video pubblicato ieri sera in una storia su Instagram. Nel video l’imprenditrice ha annunciato che tutto il personale del suo locale è risultato «negativo ai tamponi tre giorni fa» e ha invitato tutti i clienti a rispettare le misure anti-Covid «anche se non ci piacciono e le contestiamo».

Dedica al figlio su Instagram

Sempre su Instagram, Flavio Briatore ha invece dedicato un messaggio al figlio Falco Nathan, in vista dell’isolamento domiciliare che lo attende dopo le dimissioni dal San Raffaele. Il messaggio social di Briatore è accompagnato da una foto scattata in estate assieme al figlio. «14 giorni passano veloci…», si legge nel post.

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Oltre la legge 180: Franco Basaglia e l’insegnamento di civiltà, a 40 anni dalla sua morte

29 Agosto 2020 - 14:59 Maria Pia Mazza
L'opera del dottor Basaglia non può essere ricondotta unicamente alla chiusura dei manicomi in Italia, ma deve esser ricordato il tentativo di innalzare il livello di «civiltà» nei confronti di chi viene lasciato ai margini della società

«L’assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell’asilo». Parole drammaticamente umane e chiare che, come uno specchio, potrebbero riflettere il sentire intimo di molti – oggi – dinanzi al senso di profonda incertezza esacerbatosi con il lockdown e con la pandemia di Coronavirus

Ma quelle parole vennero messe nero su bianco 56 anni fa, nel 1964, ne La distruzione dell’ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione del dottor Franco Basaglia, psichiatra, neurologo e intellettuale, fondatore di Psichiatria Democratica e padre della legge 13 maggio 1978, numero 180, in materia di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Una legge approvata 7 giorni prima della legge 194, ossia la norma “per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” di cui, ancora oggi – nel 2020 – si continua a discutere

La cosiddetta “180” è la guida giuridica che portò alla chiusura dei manicomi in Italia e – quantomeno nelle intenzioni – canalizzò la volontà di cambiare l’approccio medico-sanitario in materia di salute mentale delle persone, rendendolo orizzontale e non più verticalmente coercitivo, maggiormente inclusivo e non ghettizzante, trasformandolo in una questione sociale e non più individuale e, di conseguenza, inevitabilmente, rendendolo una questione politica. Una legge a tratti rivoluzionaria, grazie alla quale l’Italia si presentava al mondo come un Paese all’avanguardia, riformista e proiettato verso il cambiamento e la messa in discussione di se stesso.

Cosa è rimasto dell’insegnamento di Basaglia

Ma a 40 anni dalla morte del dottor Franco Basaglia, avvenuta il 29 agosto 1980, e a 42 anni dall’approvazione della legge 180, se è pur vero che l’«asilo» non esiste più, è altresì vero che sussiste ancora non solo lo stigma verso le persone con problemi psichiatrici e psicologici, ma altresì la difficoltà di accesso a questi servizi nella sanità pubblica. Questo a causa dei sempre più sostanziali tagli che hanno progressivamente ridotto i professionisti della psichiatria e della psicologia nelle strutture pubbliche, malgrado la loro ampia disponibilità anche in tempo di pandemia, quando la richiesta di supporto psicologico è passata dal 40% al 62%

Attualmente, andando alla ricerca di un aiuto e di un supporto di tipo psichiatrico e psicologico, si è pressoché costretti dagli infiniti tempi d’attesa della sanità pubblica a rinunciare alle cure e a nascondersi negli studi sparsi per le città, varcando soglie di palazzi o abitazioni private adibite a piccoli centri. Ed è qui che torna a innestarsi quel senso di opacità verso le persone con problemi di natura psichiatrica e psicologica, così come si acuisce la tendenza a celare la questione di responsabilità sociale (e politica), innescando una regressione rispetto all’eredità basagliana, cioè la fine della messa ai margini delle persone con difficoltà o patologie psichiatriche e psicologiche. 

Ed è così che quella società «che per dirsi civile – così come sosteneva Basaglia – dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia», così facendo «invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla».

Il recupero dell’«orizzonte progettuale» basagliano per il futuro dei giovani

Le parole di Basaglia, se analizzate attraverso la lente di un secondo livello di lettura, oggi più che mai risultano tanto attuali quanto di urgente riflessione – e auspicabilmente di azione – da parte della classe politica e imprenditoriale italiana. Perché l’«orizzonte progettuale» a cui faceva riferimento il dottor Basaglia è andato via via smarrito negli ultimi decenni. Il tutto ben prima dell’avvento della pandemia di Covid-19, lasciando conseguentemente sempre più ai margini e prive di sostegno le fasce più deboli della popolazione, in particolare quella giovanile. 

I giovani restano infatti in balia di una verticalizzazione «istituzionalizzante», spesso incapace di ascolto e pragmaticamente ai margini della collaborazione e del coinvolgimento intergenerazionale, privati dei mezzi – soprattutto lavorativi ed economici – e della responsabilità e libertà di poter plasmare la propria individualità, nonché di progettare il proprio futuro non più «su tempi dettati solo da esigenze organizzative» altrui.

La necessità di accesso per i giovani ai servizi di salute mentale pubblici durante e dopo la pandemia

Una regressione ormai divenuta sistemica e per cui, specificamente sul fronte psichiatrico e psicologico, urge una totale inversione di rotta, tentando di porre al più presto rimedio alle carenze progettuali e strutturali passate, anche al netto di quanto evidenziato dal recente rapporto Gioventù e Covid-19: impatti su lavoro, istruzione, diritti e benessere mentale, pubblicato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo).

Dallo studio, infatti, emerge come «lo stress familiare, l’isolamento sociale, il rischio di abusi domestici, l’istruzione interrotta e l’incertezza sul futuro sono alcuni dei canali attraverso i quali COVID-19 ha influito sullo sviluppo emotivo di bambini e giovani». «La metà di tutte le problematiche di salute mentale inizia all’età di 14 anni – si legge ancora nel rapporto dell’Ilo – il che significa che i bambini e i giovani sono particolarmente a rischio nell’attuale crisi». 

«Vale anche la pena notare che il suicidio è la seconda causa di morte nei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni», si sottolinea ancora. A ciò si aggiunge che il livello di salute mentale dei giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni è notevolmente peggiorato a causa della pandemia. I giovani che hanno improvvisamente perso il lavoro, infatti, risultano avere il doppio delle probabilità di sviluppare stati di ansia e depressione rispetto a chi – fortunatamente – ha mantenuto una occupazione.

Ed è anche su questo fronte che si misurerà la capacità della politica e dirigente di definire il livello di «civiltà» che intende raggiungere – in senso basagliano e non -, decidendo o meno se tornare ad essere nuovamente un Paese che vuole essere d’avanguardia, incline al cambiamento e che sa ancora mettersi in discussione, aprendo una nuova stagione di riforme strutturali, proiettate verso il futuro. Per il futuro.

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Coronavirus, Gaza è in lockdown. E Israele rafforza l’embargo sulla Striscia dopo gli scontri con Hamas

Da metà agosto i 2 milioni di abitanti di Gaza vivono con quattro ore di elettricità al giorno. Ora devono fare i conti anche con le restrizioni anti-contagio

Da lunedì le autorità di Gaza hanno imposto un lockdown nell’enclave palestinese dopo aver rilevato un focolaio di contagi da Coronavirus nel campo profughi di al-Maghazi. Hamas – il gruppo che governa la Striscia di Gaza dal 2007 – ha proclamato lo stato di emergenza, mentre continua lo scontro con Israele con il lancio di palloni incendiari da parte dell’organizzazione palestinese e la risposta di Tel Aviv con il lancio di razzi su postazioni militari dentro Gaza.

I lanci da parte di Hamas sono iniziati a metà agosto a seguito del riavvicinamento tra Israele ed Emirati, e per chiedere il rispetto dell’accordo informale raggiunto a inizio anno tra Hamas e il governo per l’allentamento di alcune delle restrizioni in vigore da 13 anni.

Il blocco di Israele

Negli ultimi dieci giorni, gli attacchi da Gaza hanno provocato incendi e danni nei campi agricoli nel Negev. In risposta Israele ha imposto un ulteriore blocco sulle esportazioni nella Striscia, permettendo solo il passaggio di cibo e medicinali. Una situazione già esplosiva che va ad aggiungersi a quella sanitaria provocata dalla pandemia. Gaza è già sotto embargo già dal 2007, ma le ulteriori misure restrittive imposte dal governo israeliano hanno portato a un blocco dei rifornimenti di gasolio. Così gli abitanti della Striscia si trovano ora a vivere con solo quattro ore di elettricità al giorno dopo che la centrale elettrica è stata costretta a chiudere il 18 agosto.

La situazione sanitaria

A Gaza vivono 2 milioni di persone e la mancanza di elettricità è un problema soprattutto per gli ospedali. Già stremati dalla mancanza di attrezzature e rifornimenti adeguati, il taglio della corrente sta mettendo ancora più in crisi un sistema sanitario già provato da anni di embargo. «Il fatto che ciò accada in aggiunta alle sfide esistenti del sistema sanitario è motivo di preoccupazione per noi» ha affermato il dottor Ayadil Saparbekov, capo della squadra per le emergenze sanitarie locali dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Intanto per far fronte all’aumento dei contagi – 109 rilevati da marzo nelle strutture per la quarantena – Hamas ha chiuso locali pubblici e diviso – come previsto dai protocolli di emergenza – la Striscia in cinque settori isolati l’uno dall’altro. «Il blocco in corso – ha detto inoltre il portavoce di Hamas Fawzi Barhoum -, il peggioramento della crisi energetica e l’impedimento all’arrivo di beni, combustibile e medicinali nella Striscia sono crimini contro l’umanità che non possono e non debbono essere tollerati».

Foto copertina: EPA/MOHAMMED SABER

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«Niente ferie per tornare in prima linea, l’emergenza chiama». Lo sfogo di un medico contro i negazionisti del Coronavirus

29 Agosto 2020 - 14:21 Redazione
Antonio Pintus, medico infettivologo a Sassari, si rivolge «agli idioti che ancora oggi sottovalutano la pandemia»: «Rientriamo tutti al lavoro, con grande senso del dovere, ma non osate più chiamarci eroi»

Ha fatto il giro dei social l’ennesimo sfogo da parte di un operatore sanitario, costretto a rientrare dalle ferie in anticipo per occuparsi dei pazienti Covid. Questa volta lo sfogo arriva dalla Sardegna, dove nelle ultime settimane è stato registrato un aumento nei casi di Coronavirus legato al turismo e alle serate nei club della Costa Smeralda.

Il post su Facebook

I toni del medico infettivologo dell’Aou (Azienda Ospedaliero Universitaria) di Sassari, Antonio Pintus, sono durissimi, contro chi in queste settimane non si è curato di indossare la mascherina o rimanere a distanza di sicurezza dagli altri. «Per far capire agli idioti che ancora oggi sottovalutano la grave pandemia che sta attraversando il pianeta – scrive su Facebook il medico -, ebbene a Sassari vista la situazione di affanno e di gravità che si è creata nel reparto Malattie Infettive, ci hanno revocato le ferie, rientriamo tutti al lavoro, con grande senso del dovere, non osate più chiamarci eroi, ve ne saremo tutti grati, interrompo le ferie, ma l’emergenza chiama».

Il post in poche ore ha raggiunto migliaia di visualizzazioni. Si aggiunge così alle altre immagini, che hanno cadenzato l’epidemia, di medici e infermieri stremati dalla fatica a causa di turni estenuanti nei reparti Covid e frustrati dalla mancanza di accortezza da parte dei loro concittadini. Recentemente, il giorno di Ferragosto, un infermiere romano si era sfogato su Facebook, diventando a sua volta virale, nei confronti dei “negazionisti”, di chi metteva in dubbio l’esistenza del virus e progettava serate in discoteca mentre lui passava ore in turno «bardato dentro che me so sudato anche l’acqua del battesimo».

Foto di copertina: Facebook – Antonio Pintus

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Scuola, i corsi di recupero a settembre ci saranno. Il ministero: «Via dal 1 settembre». Ma gli istituti rischiano di andare in ordine sparso

Dal Miur fanno sapere che non ci sarà nessuno stop. In alcuni casi i corsi saranno svolti in presenza, in altri a distanza. Da oggi la procedura per la "chiamata veloce" dei docenti

Il ministero dell’Istruzione ha chiarito in una nota che «il recupero degli apprendimenti comincerà dai primi settembre». I corsi si svolgeranno in presenza per le scuole medie, mentre per le superiori saranno a distanza, sulla base delle disposizioni stabilite delle singole scuole, che possono decidere in autonomia le modalità di svolgimento delle lezioni durante l’emergenza Coronavirus.

Il chiarimento del Miur è arrivato sulla scia di indiscrezioni di stampa che mettevano in dubbio i corsi. Il rischio, però, è che le scuole vadano in ordine sparso. Stando al Corriere, alcuni istituti avrebbero deciso di anticipare i corsi di recupero tra la fine di giugno e l’inizio di luglio, mentre altri avrebbero intenzione di comunicare il calendario dopo il primo settembre, quando i presidi sapranno quanti docenti avranno a disposizione.

Gli stipendi dei prof

Il ministero, poi, ha garantito che non ci sarebbero neanche intoppi a proposito dei pagamenti per i docenti impegnati nei corsi di recupero secondo il Miur. Sul punto la nota del ministero ha chiarito che, in base alla norma vigente: «Dal 1 al 14 settembre si potranno avviare i corsi, perché i docenti sono già a scuola per l’attività ordinaria».

I corsi di recupero non sono una formalità

I corsi, ha ricordato il ministero, «non sono un “mero adempimento formale”, ma nascono dalla “necessità di garantire l’eventuale riallineamento degli apprendimenti”», alla luce soprattutto dell’ultimo anno scolastico particolarmente complicato per diversi studenti. Un anno in cui docenti e dirigenti scolastici hanno «dato pronta risposta alla necessità di garantire, seppure in una situazione drammatica, il diritto all’istruzione». Ora quindi «si tratta di recuperare ciò che si è inevitabilmente perso».

Al via la chiamata veloce dei docenti

Nel frattempo, prende il via la “chiamata veloce” dei docenti, la nuova procedura prevista dal decreto sulla scuola approvato a dicembre in Parlamento che «consente a chi è in graduatoria, ma non ha ottenuto il ruolo con la normale tornata di assunzioni, di poter presentare domanda in un’altra regione dove ci sono posti disponibili per ottenere prima la cattedra a tempo indeterminato». Le domande, ha spiegato il Miur, potranno essere presentate fino alle ore 23.59 del 2 settembre.

Chi non rientrerà il 14 settembre

Sulla base delle delibere regionali e dei comunicati dei singoli Uffici scolastici è possibile delineare un primo calendario scolastico 2020/2021 regione per regione. Date parziali e probabilmente suscettibili di modifiche, ma che forniscono un primo quadro delle tempistiche del rientro a scuola soprattutto per gli istituti che non ricominceranno nella data più comune a livello nazionale, e cioè quella del 14 settembre.

Il Trentino Alto Adige rientrerà a scuola il 7 settembre, così come succederà in Lombardia per la scuola dell’infanzia. Il Friuli Venezia Giulia invece si concederà due giorni in più rispetto alla data del 14, riaprendo le porte delle aule il 16 settembre. Le ultime regioni a tornare in classe saranno la Sardegna, il 22 settembre, e la Puglia, il 24 settembre.

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Defunto per morte naturale classificato come Covid-19? No! Non riguarda i bollettini, ma la prevenzione!

29 Agosto 2020 - 13:29 David Puente
Circola un documento con carta intestata dalla Asl ligure che pone il dubbio sui conteggi dei decessi Covid-19, inutilmente

Deceduto e classificato come Covid-19 senza esserlo? Circola un documento con la carta intestata Asl4 della regione Liguria, intitolato «Attestazione Covid Salme», nel quale un defunto di nome Stellutti Scala Giuseppe viene «considerato» come positivo al Sars-Cov-2. Il nome non è un segreto, il documento diffuso online lo riporta in chiaro e la vicenda è stata raccontata dal Corriere dove è intervenuto il figlio del defunto. Si tratta della prova provata che i morti Covid-19 dei bollettini vengono in qualche modo falsati? No! Spieghiamo la vicenda al fine di arginare le teorie di complotto di alcuni utenti che lo stanno diffondendo.

Uno dei post Facebook dove circola l’immagine del documento.

Nel documento sono presenti dei box dove il funzionario deve riportare diverse informazioni, come ad esempio se il defunto aveva effettuato (n.d.r. in vita) il tampone e se era risultato positivo o negativo. Nel caso in cui non sia stato effettuato, il defunto viene considerato come «positivo» selezionando la casella «indeterminato». Ecco, questo è il punto da spiegare!

L’immagine che circola online e diffusa da utenti indignati (e non solo)

Per verificare tale documento bisogna leggere innanzitutto l’intestazione dove sotto il titolo «Attestazione Covid Salme» leggiamo «Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia COVID19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione MdS 01.04.2020». Si dovrebbe capire, già da questa informazione, che il documento risulta essere per uso interno nel settore funerario e che non ha nulla a che fare con i numeri riportati dalla Protezione Civile nei bollettini giornalieri.

L’intestazione del documento contestato.

A cosa si riferisce la dicitura «MdS 01.04.2020»? Alla circolare del Ministero della Salute del primo aprile 2020 «Oggetto: Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia COVID-19riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione» riportata, ad esempio, nel sito della Federazione Nazionale Imprese Onoranze Funebri. Da che ufficio del Ministero? Dalla Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, e ricordate bene la parola «Prevenzione».

L’intestazione della circolare ministeriale riguardante il caso.

Prevenzione e principio di precauzione

Detto questo, la stessa circolare al punto A «Natura e durata delle indicazioni emergenziali» leggiamo la spiegazione del sistema da applicare nelle strutture funerarie che svela l’arcano:

Nei casi di morte nei quali non si possa escludere con certezza che la persona fosse affetto da COVID-19, per il principio di precauzione, si adottano le stesse cautele previste in presenza di sospetta o accertata patologia da microrganismi di gruppo 3 o prioni (v. lettera B)

Il punto chiave che chiarisce la vicenda.

La circolare riporta alcune linee guida da seguire nel trattamento delle salme, che ripeto non riguardano affatto i dati forniti dagli ospedali e strutture sanitarie che inviano i dati alla Protezione Civile per i bollettini. Perché le agenzie funebri devono stare attenti a come trattano i pazienti defunti Covid-19 se questi non possono diffondere il virus attraverso i droplets e la respirazione? Ricordo che la questione igiene è fondamentale e non è un caso se tutti stiamo usando il gel disinfettante, perché il contagio può avvenire certamente per via aerea ma il virus può trovarsi in luoghi dove entriamo a contatto con le mani che prima o poi, anche senza pensarci, toccano bocca, naso e occhi permettendo al virus di trovare in un modo o nell’altro l’entrata verso l’organismo da infettare. La circolare non fa altro che ricordare quanto sia importante la prevenzione per evitare queste vie di contagio.

Il comunicato della Federazione Nazionale Italiana Onoranze Funebri.

L’indignazione del figlio

Leggiamo dal Corriere:

Suo padre è molto anziano ed è morto di morte naturale, senza alcun sintomo di Coronavirus, ma il suo decesso è stato classificato come Covid. La vicenda viene denunciata da un professionista genovese residente nel Pavese, Alberto Stelluti Scala, 60 anni, già dirigente bancario presso la banca Ubs, il quale nei giorni scorsi ha assistito il padre Giuseppe, che a 88 anni è venuto a mancare a Casarza Ligure (Genova) il 24 agosto scorso. Nonostante nei mesi precedenti alla morte non abbia mai esibito i sintomi tipici del coronavirus (febbre, polmonite, perdita dell’olfatto, difficoltà respiratorie) il suo decesso è stato però classificato come dovuto al Covid. Va precisato che nella sua drammaticità la vicenda non è emblematica: numeri alla mano, storie di questo tipo non inficiano le statistiche sui decessi per coronavirus.

Bene che ci sia stata la precisazione in merito alle statistiche sui decessi Covid-19, il signor Alberto Stellutti Scala risulta essere ancora dubbioso in merito e contesta ancora:

Poniamo al dottor Stelluti Scala un’obiezione: come fa in assoluto a escludere che il padre non sia morto di Covid? «Bisognerebbe procedere ad un’autopsia, ma ritengo che costringere il cittadino comune ad effettuare a proprie spese un’autopsia per dimostrare che un proprio congiunto anziano non è morto di Coronavirus sia un’ipotesi aberrante. Visto che mio padre, come riconosce il certificato, non è stato sottoposto a tampone e che non è mai stato affetto da sintomi di Coronavirus, bisogna ritenere che non sia morto a causa del Covid. Quindi questo tipo di attestazione è completamente invalida, come ritengo essere il caso di situazioni simili a questa. La prova del nove di questa mia affermazione è che se davvero erano convinti che mio padre fosse morto di Covid, i sanitari avrebbero potuto fargli il tampone anche da morto, come è stato fatto in altri casi. Invece non si è proceduto e la sua morte figura ora tra i casi di Covid». Perché ha sentito l’esigenza di denunciare alla stampa una vicenda così personale? «Perché ho trovato assurdo e inaccettabile che la morte di mio padre sia stata qualificata come Covid quando invece si è spento in modo del tutto naturale. Se questo criterio viene applicato su vasta scala c’è da preoccuparsi».

Ricordando, ancora una volta, che questo documento è per uso interno per il trattamento della salma, per quanto riguarda il caso in esame non è stato considerato affatto come positivo al Sars-Cov-2 e non è stato classificato come morto per Covid-19, ma che non essendo stato effettuato il tampone prevale il principio di precauzione per gli addetti ai lavori e pertanto essi non potrebbero essere accusati in alcun modo.

Il defunto non è stato classificato come «positivo», ma come «indeterminato» facendo prevalere il principio di precauzione al fine di prevenire eventuali possibilità di contagio e tutelare i dipendenti delle aziende funebri.

Smentita ancora una volta la bufala delle autopsie

In questi mesi è circolata la bufala del Governo che avrebbe vietato le autopsie. Lo avevo spiegato in un precedente articolo e lo rifaccio in questa occasione visto quanto riportato dalla circolare:

In caso di esecuzione di esame autoptico o riscontro diagnostico, oltre ad una attenta valutazione preventiva dei rischi e dei vantaggi connessi a tale procedura, devono essere adottate tutte le precauzioni seguite durante l’assistenza del malato. Le autopsie e i riscontri possono essere effettuate solo in quelle sale settorie che garantiscano condizioni di massima sicurezza e protezione infettivologica per operatori ed ambienti di lavoro: sale BSL3, ovvero con adeguato sistema di aerazione, cioè un sistema con minimo di 6 e un massimo di 12 ricambi aria per ora, pressione negativa rispetto alle aree adiacenti, e fuoriuscita di aria direttamente all’esterno della struttura stessa o attraverso filtri HEPA, se l’aria ricircola. Oltre agli indumenti protettivi e all’impiego dei DPI, l’anatomo-patologo e tutto il personale presente in sala autoptica indosseranno un doppio paio di guanti in lattice, con interposto un paio di guanti antitaglio.

Ricordiamolo ancora una volta: le autopsie si potevano e si possono fare, ma a determinate condizioni di sicurezza!

Zangrillo

Alberto Zangrillo, direttore di terapia intensiva del San Raffaele di Milano, ha condiviso l’articolo del Corriere senza fornire spiegazioni nel tweet:

Un utente, critico nei confronti del tweet di Zangrillo, pone una domanda e lui risponde così:

Antonello: «Quindiiiiii? Un errore di qualche suo collega certifica l’inesistenza e la mortalità del virus? Quante morti per polmonite virali ci sono state prima che fossero fatti i test del Covid-19?»

Zangrillo: «Gentile Santinelli, a beneficio Suo e di coloro che mi vorrebbero negazionista: SARS-CoV-2 circola, contagia e ha causato molti decessi. Oggi, e speriamo in futuro, è molto meno letale. Io, che l’ho affrontato e che lo temo, sono contento per me e per l’Umanità.»

Un concetto che ha ribadito in un terzo tweet in cui condivide il primo riportante l’articolo del Corriere, senza spiegare ancora una volta la situazione:

Open.online is working with the CoronaVirusFacts/DatosCoronaVirus Alliance, a coalition of more than 100 fact-checkers who are fighting misinformation related to the COVID-19 pandemic. Learn more about the alliance here (in English).

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Coronavirus, un dossier della Regione Lazio accusa la Sardegna: «Errori nella prevenzione e nel tracciamento»

29 Agosto 2020 - 13:21 Redazione
Le due Regioni sempre più ai ferri corti. Il governatore sardo Solinas: «Accuse ridicole»

Alle polemiche e all’inchiesta aperta dalla Procura di Tempio Pausania sul rispetto delle regole per il contenimento della pandemia da Coronavirus nei club della Sardegna, si aggiunge adesso una iniziativa della Regione Lazio, secondo quanto riportato da Il Messaggero. Si tratta di un dossier, da inviare al ministero della Salute, contenente errori e mancanze della Sardegna, dalla quale sono rientrati nel Lazio ben 632 casi positivi. Il Lazio accusa come l’operazione di prevenzione e tracciamento della Sardegna abbia avuto delle lacune, ad esempio quella di non inviare alcuna notifica di positivi laziali diagnosticati nell’Isola. La Regione Lazio punterebbe a capire come mai, quando in Sardegna sono stati rilevati turisti positivi provenienti da Roma, non ci siano state notifiche così da iniziare l’operazione di tracciamento. Nei giorni scorsi è saltato l’accordo tra le due Regioni sui tamponi rapidi da effettuare sia in Lazio sia in Sardegna al momento della partenza dei traghetti. La Sardegna chiedeva che l’intesa sui tamponi e il trattamento dei casi positivi fosse vincolante per tutte le Regioni e non solo per il Lazio. Da lunedì, intanto, al Porto di Civitavecchia verranno effettuati tamponi rapidi agli arrivi e alle partenze.

Solinas: «Accuse ridicole»

Il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, ha risposto per le rime a chi lo ha accusato di non aver impedito assembramenti in discoteche e spiagge: «È un’accusa ridicola – ha detto in una intervista a Il Tempo -. Pensi alla Riviera romagnola o alla Versilia: ci sono più discoteche e decisamente più affollate. Possibile che lì gli assembramenti non fossero contagiosi? Il problema è la Sardegna, con molti meno locali, tutti all’aperto, ai quali ho imposto una riduzione degli avventori del 30% e norme rigide sul distanziamento?». Una stoccata poi anche all’assessore alla Sanità del Lazio D’Amato: «Parla di tantissimi casi collegati direttamente alla Sardegna, ma dubito che sia così. È il classico tentativo di farci passare per il problema, per gli untori: allora vogliamo parlare degli aperitivi in piazza? È chiaro che si tratta di una forzatura mediatica».

Sotto la lente non solo il Billionaire

Non c’è solo il Billionaire, locale di Flavio Briatore (l’imprenditore è stato dimesso oggi) dove si sono registrati oltre 60 contagi tra i dipendenti, ad attirare l’attenzione dei magistrati. Accertamenti sono in corso lungo tutta la Costa Smeralda: al Controvento di Porto Cervo, al Country club di Porto Rotondo e al Phi Beach di Baja Sardinia, dove si è riscontrato un focolaio con 21 dipendenti positivi. Intanto la situazione epidemiologica rimane seria. Un 27enne dipendente della discoteca Luna Club, a San Teodoro, in Provincia di Sassari, positivo al Coronavirus è peggiorato e adesso si trova in gravi condizioni.

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Perché il “blackface” sbandierato da Di Maio su Facebook è un problema

Per il portavoce del ministro si tratta di "autoironia". Ma il blackface prende spunto da una tradizione palesemente razzista

Il volto di Luigi Di Maio sul corpo di Micheal “Air” Jordan che vola verso il canestro. E poi Di Maio al fianco di Totò nello storico film dei primi anni ’60, Totòtruffa. Sono soltanto alcuni dei “meme” che il ministro degli Esteri ha condiviso sulla sua pagina Facebook nel tentativo di neutralizzare tramite l’autoironia gli sfottò da parte degli utenti social sulla sua abbronzatura, risultato di alcuni giorni di vacanza in Sardegna. Una presa in giro che è costata l’accusa di razzismo non soltanto nei confronti di chi lo aveva sbeffeggiato, ma anche nei confronti dello stesso ministro.

Cos’è il blackface

«Prometto che la prossima volta mi metterò la crema 50», ha scherzato Di Maio nel commento a corredo dei meme, ringraziando chi lo aveva preso in giro «per aver reso più leggera la giornata». Ma l’immagine pubblicata da Di Maio che lo mostra al fianco di Totò con tanto di blackface ha suscitato parecchio scalpore, proprio perché prende spunto da una tradizione palesemente razzista.

Si tratta di una raffigurazione caricaturale degli afroamericani nata negli Stati Uniti nella prima metà dell’Ottocento, tipica degli spettacoli dei “menestrelli” in cui gli attori – solitamente bianchi – interpretavano gli schiavi africani liberati dipingendosi il volto di nero. L’obiettivo era quello di mettere in ridicolo i neri, legittimando la classe dirigente bianca.

Si tratta di una tradizione pressoché sconosciuta in Italia, nonostante il blackface figurasse ampiamente nelle produzioni del regime fascista. Anzi, generalmente è considerata innocua, come dimostra il caso di Gino Sorbillo, il pizzaiolo napoletano che per solidarietà nei confronti del difensore del Napoli, Kalidou Koulibaly, oggetto di cori razzisti, si era fatto fotografare con un cartello con sopra scritto «Siamo tutti Koulibaly» e con la faccia dipinta di nero.

Per la scrittrice italo-somala, Igiaba Scego, dietro all’apparente innocuità, però, si cela un’amnesia rispetto al nostro passato coloniale. «Giocano con il blackface e sotto traccia c’è l’idea del nero come colore inferiorizzante e dei neri/e come inferiori», ha scritto Scego in un post su Facebook. «Conosciamo bene questa storia. Sono meme che offendono noi neri e nere. Il ministro avrebbe dovuto ignorare o sottolineare il razzismo insito nella pratica». A sottolineare l’eccezionalità del caso invece ci ha pensato il New York Times con un articolo in cui spiega come negli Stati Uniti diversi politici siano stati costretti a dimettersi dopo che fossero spuntate delle foto di loro in blackface.

Interpellato dal quotidiano newyorchese il portavoce di Di Maio ha fatto sapere che «il ministro è categoricamente contrario a qualsiasi forma di discriminazione o violenza razziale in qualsiasi delle sue forme», ribadendo che si è trattato di un post «autoironico» sulla sua abbronzatura. Nel frattempo i meme continuano a girare sui social grazie a pagine come Fratelli di Putin (con oltre 600mila follower) che tra una cosa e l’altra ha condiviso una foto con Luigi Di Maio “nei panni” di Barack Obama quando incontrò Silvio Berlusconi nel 2009. Un anno prima, trovandosi a Mosca in compagnia del presidente russo, l’ex premier italiano aveva detto che Medvedev sarebbe sicuramente entrato in sintonia con Obama perché il presidente americano era «giovane, bello e anche abbronzato». In modo ironico, ovviamente.

Rettifica: L’articolo è stato modificato nell’ultima parte in cui si faceva riferimento ai commenti fatti da Silvio Berlusconi su Barack Obama

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Sondaggio, cala il M5s: Fratelli d’Italia a meno di un punto. Boom di Draghi tra i leader. Sul Referendum gli elettori del Pd i più divisi

29 Agosto 2020 - 11:20 Redazione
Nell'indice di gradimento dei singoli rimane in testa Giuseppe Conte con il 60% di apprezzamento. Si conferma "l'effetto Zaia", con il presidente veneto al 54%

A meno di un mese dal referendum costituzionale, dalle elezioni regionali, e con l’emergenza Coronavirus sempre in corso cambiano ancora gli orientamenti politici degli italiani. Secondo le indicazioni del sondaggio condotto da Demos per la Repubblica, la Lega resterebbe al momento ancora il primo partito, ma con una erosione di consenso notevole. Nel settembre 2019 i sondaggi la davano al 32,5%, contro il 24,5% attuale. Dato in discesa rispetto al picco massimo di voti conquistato alle europee 2019 (34,3%). Ma dove sono finiti i voti della Lega? Un indizio c’è.

È quel 15,4% rilevato per Fratelli d’Italia, in crescita esponenziale rispetto al 7,4% di un anno fa e al 6,5% ottenuto alle ultime elezioni europee. Dato che salta ancor di più all’occhio perché il partito di Giorgia Meloni è sulla scia, e tenta il sorpasso, del Movimento 5 Stelle, che secondo Demos si attesta al 16,2%. Dato, questo, piuttosto in linea con il 17,1% ottenuto alle Europee. Il Pd si conferma invece secondo partito, con un 20,7% abbastanza allineato alle precedenti rilevazioni, di poco inferiore al 22,7% delle europee. Forza Italia sembra tenere al 7,2%, Leu si attesta al 3,5%, seguito da Italia Viva (2,7%), +Europa (2,3%) e Azione di Carlo Calenda con il 2,1%.

Il gradimento dei leader

Nell’indice di gradimento dei leader la valutazione risente della gestione dell’emergenza Coronavirus, a livello nazionale e sui territori. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si conferma in testa alla classifica, con un 60% di gradimento, in calo di cinque punti rispetto alla rilevazione del giugno scorso. Confermato poi “l’effetto Zaia” già riscontrato nei sondaggi a livello regionale.

Il presidente della Regione Veneto vanta, secondo Demos, un apprezzamento pari al 54%, appena due punti in meno rispetto a due mesi fa. Salgono poi, dopo il discorso pronunciato al meeting di Rimini, le quotazioni dell’ex presidente della Bce Mario Draghi: 53% di gradimento per lui. Seguono Giorgia Meloni (44%), Vincenzo De Luca (43%), Paolo Gentiloni (41%), Roberto Speranza (40%), a pari merito con Emma Bonino, poi al nono posto Matteo Salvini con il 39%. Fanalini di coda Alessandro Di Battista (21%), Vito Crimi (18%) e Beppe Grillo al 17%.

Referendum: spaccatura nell’elettorato Pd

Anche secondo le rilevazioni di Demos il referendum costituzionale avrà un esito scontato, con i Sì all’82% e i No al 18%, nonostante nelle ultime settimane si sia acceso un dibattito attorno al tema. Ma il dato interessante che emerge è tutto interno al Partito democratico. Per il Sì si schiera il 62% degli elettori dem, mentre per il No il 38%. Schiacciante invece la preponderanza del Sì tra gli elettori dei partiti che sostengono la riforma: M5s (91%), Lega (89%), Fratelli d’Italia (86%). Ma anche tra chi vota Forza Italia, che nell’area del centrodestra è il partito con una posizione meno solida sul Sì, stravince l’assenso alla riforma con l’84% dei consensi.

Per quanto riguarda le categorie di lavoratori, Demos rileva un grande consenso al taglio dei parlamentari tra gli operai (92%) e i lavoratori autonomi (87%), così come tra i pensionati (90%) e le casalinghe (93%). Scende l’approvazione invece tra imprenditori e liberi professionisti (69%). Spaccato il mondo degli studenti, con solo il 51% di loro favorevole.

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Al Billionaire «non avevamo la percezione del pericolo», la denuncia di due dipendenti. Il sindacalista: «Caso unico: altri locali non hanno avuto tanti positivi»

La Cisl della Gallura ha raccolto diverse testimonianze dei dipendenti dei locali in Costa Smeralda, tra loro anche due della discoteca di Flavio Briatore, che smentiscono il racconto dell'imprenditore

Due dipendenti del Billionaire mettono in dubbio la difesa di Flavio Briatore, che al La Stampa aveva rivendicato di aver applicato tutte le regole previste contro i contagi da Coronavirus, pur ammettendo di essere stato impotente davanti al comportamento dei clienti che continuavano a stare uno vicino all’altro. Che la situazione nei locali della Costa Smeralda, non solo al Billionaire, fosse sfuggita di mano lo stavano raccontando ormai da giorni i video delle serate di agosto che circolano sui social, con decine di persone accalcate in pista, ovviamente senza mascherine. Filmati finiti inevitabilmente all’attenzione dei magistrati della procura di Tempio Pausania, che al momento starebbero portando avanti solo un’indagine conoscitiva, come riporta la Repubblica. E mentre si attendono eventuali sviluppi dalla procura, si aggiungono nuove testimonianze su quanto sia accaduto nelle serate agostane al Billionaire.

A parlare sono ora due dipendenti che alla Cisl hanno spiegato quanto «non ci fosse la percezione del pericolo» anche tra i lavoratori del locale oltre che tra i clienti, con tanti che entravano e uscivano senza mascherina e tanti loro colleghi che la indossavano sotto il mento: «Dentro c’era caldo, e bisognava correre di qua e di la per tutta la sera: c’era chi la toglieva per respirare meglio». Situazioni gravi sono emerse anche in altre strutture, con segnalazioni raccolte dai sindacalisti anche sul resort Santo Stefano. Ma il caso del Billionaire rappresenta al momento un caso unico nel suo genere, con i suoi oltre 60 positivi solo tra i dipendenti, compreso il titolare: «Quel dato – dice il segretario locale della Cisl, Mirko Idli – si spiega solo che la violazione delle disposizioni anti-Covid. In altre discoteche – aggiunge il sindacalista – sono state celebrate feste e compleanni, eppure non è successo niente».

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