Il lockdown infinito delle Rsa, la vita murati in stanza degli anziani: ancora vietati gli abbracci con i parenti o un caffè da soli al bar
Dopo aver contato migliaia di morti nelle residenze per anziani a causa del Coronavirus, dopo il caso Pio Albergo Trivulzio e dopo aver messo nero su bianco che i più vulnerabili sono gli anziani, le Rsa hanno attivato protocolli di sicurezza rigidissimi. Altro che visite ricominciate, altro che ritorno alla normalità. Gli ospiti delle Rsa non possono più andare nemmeno in giardino, non possono più uscire da soli dalle strutture (se autosufficienti), non possono più abbracciare i loro familiari. Non possono nemmeno avvicinarsi ai figli. Tutto per il loro bene. Eppure queste restrizioni rischiano di trasformarsi in una prigione, in una gabbia che, se da un lato li protegge dal rischio di Covid, dall’altro li uccide psicologicamente. Con danni irreversibili.
«Situazione indecente, disumana e angosciante»
Anna, ad esempio, ha il marito, Rino, ospite all’istituto geriatrico Piero Redaelli a Vimodrone (Milano). Prima andava a trovarlo ogni giorno, adesso lo vede, a distanza, ogni tanto. «Il 6 luglio l’ho rivisto per 15 minuti con tanto di persona che ci guardava per controllare che rispettassimo il distanziamento sociale. Un modo indecente di vedersi dopo tempo. Meglio non vederlo, è stato doloroso. Sono stata malissimo, non gli posso nemmeno stringere la mano. Una situazione disumana, angosciante, orribile. Altro che hanno riaperto, se va bene li intravediamo da lontano ogni 20 giorni».
Rino è praticamente “murato” nella sua stanza. «Io prima ero la sua ombra, lo accompagnavo in carrozzina in giro per la struttura. Adesso fa tutto in stanza, anche i pasti. I suoi compagni di vita sono il muro e la tv. Nessuno può andare nei corridoi e anche di mangiare con gli altri non se ne parla proprio. Non ci sono nemmeno attività».
Le regole rigidissime del Pio Albergo Trivulzio
Dal Pio Albergo Trivulzio, intanto, ci fanno sapere che «in giardino non può andare nessuno» e che le persone autosufficienti possono sì muoversi nel reparto «condividendo gli spazi comuni con mascherina e distanziamento» ma non possono uscire da soli. Se devono andare in banca o comunque in altri luoghi ritenuti essenziali (di certo non al bar a prendere un caffè), possono farlo «accompagnati da un operatore della struttura».
Le visite avvengono rigorosamente all’aperto, «tempo permettendo», e sempre «distanziati, bardati e senza abbracci». «Stiamo provando a tornare alla normalità – ci dicono dal Pio Albergo Trivulzio – siamo passati da 4 a 15 visite al giorno consentendo anche in alcune occasioni di festeggiare i compleanni, ovviamente con l’ingresso di un solo parente. Stiamo facendo anche i tamponi a tutti i nostri dipendenti di rientro dalle ferie. In 3 sono risultati positivi e, dunque, non sono tornati a lavoro».
«Devo fare il tampone per vedere mia madre»
Antonio, che ha la mamma Eugenia ospite presso la struttura Principessa Jolanda (struttura legata al Pio Albergo Trivulzio), ci racconta: «Hanno messo una serie di paletti “legali” solo per tutelare se stessi. Ci obbligano persino a fare il tampone tre giorni prima della visita. Dicono che sia volontario ma, se non lo fai, non puoi vedere il tuo parente (questo vale solo per i parenti che vanno a trovare anziani malati di Alzheimer, ndr). Le visite si fanno dal lunedì al venerdì, anche il tampone, facendoci perdere intere giornate di lavoro. E poi ci chiedono pure di metterci in auto-isolamento fino alla visita. Ma come dovremmo fare?». Anche Eugenia è stata malata Covid: tre settimane di febbre, ossigeno e tanta paura. Ora sta meglio anche se quello che le manca di più, probabilmente, è l’affetto del figlio.
Foto in copertina: Pixabay
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