Coronavirus, i numeri in chiaro. Il fisico Sestili: «I dati sono buoni ma occhio al tempo di raddoppio»
Secondo giorno di fila di riduzione dei nuovi casi di Coronavirus: nonostante un aumento di 22.532 tamponi rispetto al giorno precedente, oggi le infezioni sono diminuite ancora, passando dai 1.365 contagi di due giorni fa ai 996 di ieri, fino a scendere ai 978 del primo settembre. «I dati degli ultimi due giorni sono certamente positivi», afferma il fisico Giorgio Sestili. «Nonostante l’incremento nel numero di tamponi, oggi la percentuale dei test positivi sul totale è dell’1,2%».
«Erano giorni che la percentuale non scendeva sotto il 2%», rimarca il divulgatore scientifico. La situazione però non è affatto rosea: «Il grafico delle terapie intensive e dei ricoverati con sintomi è preoccupante se lo guardiamo all’interno di una tendenza storica. Le terapie intensive hanno superato quota 100 e non succedeva da giugno. I ricoverati sono quasi 1.400, e siamo tornati ai livelli di fine maggio. I positivi sono 26.754, stessa situazione di metà giugno», sottolinea Sestili.
I casi si stanno stabilizzando sotto quota mille: abbiamo superato la fase peggiore di questa fine estate?
«No, perché il trend dei casi positivi in Italia resta in crescita. E, purtroppo, dobbiamo constatare come il tempo di raddoppio dei casi positivi stia scendendo. Al 31 agosto il tempo di raddoppio è inferiore ai 10 giorni. Per dare un termine di paragone, esattamente un mese fa, il primo agosto, il tempo di raddoppio era di circa 32 giorni».
Perché è importante tenere sott’occhio questo dato?
«Perché ci dà una prospettiva di medio termine sull’evoluzione dell’epidemia: conoscere il tempo di raddoppio ci consente di stimare quante nuove infezioni avremo nelle prossime settimane. L’altro dato interessante è il parametro R (reproduction number): se lo calcoliamo non soltanto sui soggetti sintomatici come fa l’Istituto superiore di sanità, ma consideriamo il totale dei casi positivi registrati, il parametro R, al momento, si aggira intorno alla cifra di 3. Significa che un positivo oggi è in grado di infettare in media altre tre persone».
Non si diceva che la soglia di guardia doveva essere fissata a 1? Com’è possibile che quel valore sia triplicato rispetto alla fase calante dell’epidemia e che dalle istituzioni non sia partito alcun allarme?
«Esattamente, adesso il suo valore è molto alto: non si registrava dall’inizio di aprile, quando poi il parametro R è cominciato a scendere grazie alle misure di lockdown. È stato l’Istituto nazionale di fisica nucleare a lanciare l’allarme».
Ma secondo l’Istituto superiore di sanità l’ultimo parametro R comunicato è pari a 0,7, non 3 come sostiene l’istituto nazionale di fisica nucleare.
«L’Istituto superiore di sanità analizza i tamponi provenienti dalla Protezione civile. Chiama le persone che risultano positive e chiede quando hanno avuto i primi sintomi. Su questi dati costruiscono le loro statistiche: ovvero a partire dall’inizio dei sintomi. In questo tipo di conteggio sono esclusi ovviamente gli asintomatici che in realtà, in questo momento, sono una fetta consistente dei positivi in Italia».
Quindi quello comunicato dall’Istituto superiore di sanità è un dato parziale?
«Lo calcola solo sui casi sintomatici e a livello regionale. Poi ne trae una media su scala nazionale. Ma nello stesso report, l’ultimo pubblicato, si legge che il 70% dei casi è asintomatico. Se aggiungessimo i sintomatici, la stima del parametro R cambierebbe. “Bisogna tuttavia interpretare con cautela l’indice di trasmissione nazionale in questo periodo dell’epidemia. Infatti l’Rt, calcolato sui casi sintomatici, pur rimanendo il fattore più affidabile, potrebbe sottostimare la trasmissione del virus a livello nazionale”. Queste sono parole scritte dallo stesso Istituto superiore di sanità».
Come mai vengono pubblicati valori diversi dello stesso parametro?
«Non c’è una formula unica per calcolare il parametro R. Nell’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità, quello del 28 agosto, c’è scritto chiaramente che è calcolato sui casi sintomatici. Altri istituti di ricerca considerano anche gli asintomatici, poiché anch’essi sono contagiosi. Inoltre, l’Istituto superiore di sanità utilizza i dati fino a due settimane prima della pubblicazione: in quel report è calcolato l’Rt riferito al periodo 6-19 agosto. È un modo legittimo di calcolare l’R, ma non restituisce una fotografia di quello che sta avvenendo adesso».
Tornando ai dati del bollettino, in riferimento al differenziale di tamponi processati ieri e oggi, ritiene giustificabile che ancora adesso i test analizzati scendano vertiginosamente la domenica e il lunedì?
«L’ideale sarebbe poter garantire sempre un elevato numero di tamponi e costante, anche il lunedì. Ma sottolineerei il fatto che si è riusciti a raggiungere quasi quota 100mila tamponi la scorsa settimana, molti di più rispetto alla fase più acuta dell’emergenza sanitaria: i tamponi sono quasi raddoppiati nel giro di pochi mesi. L’auspicio è che il piano di Crisanti di arrivare a 300mila tamponi al giorno sia implementato quanto prima dal governo».
A che punto, invece, siamo con i vaccini e che ruolo sta giocando l’Italia?
«Tutto il mondo sta facendo ricerca sui vaccini: in questo momento, secondo l’Oms, 140 vaccini si trovano nella fase di sperimentazione pre-clinica. Per quanto riguarda l’Italia, però, la notizia più importante degli ultimi tempi è arrivata lo scorso 24 agosto, quando il cosiddetto vaccino italiano è entrato nella prima fase clinica della sperimentazione. Allo Spallanzani, sarà presto inoculata la prima dose di vaccino a 90 volontari. Viene definito “vaccino italiano” perché nasce da una collaborazione tra lo Spallanzani e l’azienda ReiThera».
Quando saranno disponibili per i cittadini?
«Ci sono quattro vaccini che si trovano nella fase più avanzata della sperimentazione, ovvero la terza fase. Uno è statunitense, dell’azienda Moderna che sta coinvolgendo 13mila persone nello studio di fase tre. Poi ci sono tre vaccini provenienti dalla Cina, tutti entrati nella fase tre. Poi c’è un vaccino tedesco, anch’esso in terza fase, per cui si stanno reclutando 30mila candidati tra i 18 e gli 85 anni. E poi c’è un vaccino anglo-italiano, il quale coinvolge l’università di Oxford e l’Irbm, azienda con sede a Pomezia, che si è occupata della produzione delle prime migliaia di dosi. La cosa importante su quest’ultimo vaccino è che la Commissione europea ci sta puntando molto, avendo già commissionato l’acquisto di 300 milioni di dosi».
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