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Parigi a rischio lockdown, il racconto di un “expat”: «Qui a giugno le piazze erano stracolme e senza regole. E ora abbiamo paura» – L’intervista

01 Settembre 2020 - 08:06 Giada Giorgi
Giampaolo, 25 anni, vive a Parigi da cinque, «i giovani francesi sono come quelli italiani» dice. «Si sono convinti che il virus non possa far loro male e ora temono la nuova chiusura»

Parigi è zona rossa, insieme ad altre 101 zone della Francia. Il pericolo di un nuovo lockdown incombe, diretta conseguenza dello spaventoso aumento dei contagi di Covid-19, che in sole 24 ore ha superato i 5mila casi, dopo un picco di oltre 7mila nei giorni addietro. Mentre le terapie intensive si riempiono, la situazione preoccupa tutti, anche Giampaolo Bonaura, 25 anni, di Napoli, “commerciale” per un’azienda parigina da circa cinque. Adottato dalle torre Eiffel, dopo studi universitari in giro per il mondo, dalla finestra del suo appartamento ora guarda le persone in strada indossare la mascherina. Anche all’aperto, come da prescrizione.

La casa del giovane venticinquenne è sull’undicesimo Arrondissement, una delle circoscrizioni municipali che divide in 20 la città. Metro Rue Saint-Maur per l’esattezza: quella in cui vive Giampaolo è una delle zone più vive e animate di Parigi. Bar e locali si alternano attorno a Rue Oberkampf. Negozi e ristoranti alla moda continuano a crescere nell’area cosmopolita di Place de la Rèpublique e Place de la Nation. Ed è proprio lì che, poco più di un mese, fa Giampaolo ricorda scene, che alla luce dei contagi di oggi, parlano ancor di più di irresponsabilità.

Giampaolo, contagi in aumento e un pericolo d lockdown che si fa concreto. Come ha vissuto negli ultimi mesi il pericolo Covid, la capitale di uno dei Paesi attualmente più a rischio di nuovo lockdown?

«Ho forti dubbi sul fatto che ci sia mai stata una reale percezione del pericolo, soprattutto tra noi giovani. Il 21 di giugno qui a Parigi si festeggia la cosiddetta festa della musica. Ogni bar o locale organizza una propria serata a porte aperte, decine di djset sparsi per la città, tutti possono scendere in strada con casse e attrezzatura. Niente ha impedito che anche lo scorso giugno la tradizione fosse rispettata come se nulla fosse, senza nessun tipo di preoccupazione o precauzione, Plaze de La Republique era completamente piena».

Parliamo di una delle più grandi piazze pedonali di Parigi.

«Esattamente, si parla di migliaia di persone. In quell’occasione erano ammassate, senza mascherina e senza alcun tipo di distanziamento. Così nei vari locali della città. A partecipare erano prevalentemente giovani, quelli che in questo momento rappresentano la maggior parte dei casi positivi».

Un’occasione isolata?

«Decisamente no. Basti pensare alle partite del Paris Saint Germain e alla finale di Champions League che la squadra ha giocato. Lo stadio di Lisbona era vuoto ma i bar, i locali e gli spazi esterni di Parigi erano colmi, senza alcun rispetto delle precauzioni. E stiamo parlando solo di una settimana fa».

Le discoteche però sono rimaste chiuse.

«Sì, ma se i bar e i locali organizzano serate dove si balla fino alle tre del mattino, come sta succedendo, è tutto inutile. Anzi direi che forse è ancora peggio, se pensiamo che le discoteche possono in qualche modo avere spazi più ampi, a differenza dei locali non adibiti generalmente al ballo. Ho partecipato a serate in cui pur volendo, in proporzione al numero delle persone presenti, risultava del tutto impossibile rispettare il distanziamento».

Inconsapevolezza o incoscienza?

«I giovani qui sono consapevoli dei pericoli del virus ma sembra non essere una cosa che li preoccupa. In questo credo che ci sia molta similitudine con i giovani italiani. C’è l’idea ancora diffusa che su di loro il virus abbia un effetto simile a poco più di un raffreddore. Parole testuali che continuo spesso a sentire da più di un mio coetaneo quando esprimo loro le mie preoccupazioni.

Giampaolo Bonaura|Giovani sul Canale Saint Martin a Parigi

Il sentirsi ancora invincibili dopo tutto quello che è successo è sicuramente da incoscienti. Su questo però, in alcuni casi, ho potuto constatare la responsabilità anche di messaggi sbagliati fatti passare su scala nazionale».

Cioè quali?

«Ero a Marsiglia per lavoro qualche tempo fa, in albergo mi è capitato di accendere la tv e guardare uno dei messaggi di sensibilizzazione alle norme anti Covid diffusi dal governo. La scena della nipote che va a trovare la nonna e che mantiene la distanza di sicurezza e mascherina termina con il messaggio scritto e parlato che sottolinea come 9 persone su dieci che muoiono di Covid hanno una media di età di più di 65 anni.

In una situazione come quella in cui ci troviamo, in cui i giovani tendono molto a minimizzare il rischio, un messaggio del genere diffuso a livello nazionale non aiuta. O comunque può spingere il 18enne a fraintendere, a sentirsi legittimato nel pensare che il virus non sia una cosa che lo riguarda in modo poi così diretto.

Per cui il massimo che dovrà fare sarà tenersi lontano dalla nonna, agendo senza alcun tipo di precauzione al di fuori di quella. Anche su questo mi pare di capire che il giovane francese sta ragionando molto come il giovane italiano, da noi la fascia 20-35 è quella che usa salutarsi di più con gli abbracci, o fare la cosiddetta bise, il saluto francese con i baci».

Tornando al numero dei contagi, alla soglia degli oltre 5mila casi registrati in un solo giorno, ora tutti, per obbligo, dovranno indossare la mascherina anche all’aperto.

«Sì e devo dire che in questi pochi giorni trascorsi dalla disposizione, l’obbligo comincia ad essere rispettato. Certo, compatibilmente con i frequenti errori nella modalità con cui le mascherine vengono indossate, vedi naso scoperto e simili. La percezione di chi vive molto la città anche all’esterno, come capita spesso a me, è che ora il popolo francese stia rispettando le regole più per la paura di essere rinchiuso di nuovo che per il timore della malattia.

Se incorro in una multa (135 euro se non si indossa la mascherina) e soprattutto comincio a capire che il governo non esclude l’ipotesi di chiudermi di nuovo a casa, provo a rispettare di più le regole per evitarlo».

In effetti, a proposito di una nuova chiusura, il presidente Macron ha cominciato ad essere più possibilista di qualche tempo fa.

«Sì e questo spaventa. Io sono uno tra quelli che ha accusato molto il fatto di dover restare chiuso in casa. Fino a una settimana fa Macron aveva più volte definito il lockdown come qualcosa che non si sarebbe più verificato. In una delle ultime interviste, risalente a qualche giorno fa, pur premettendo che le forze di governo faranno di tutto per evitarlo, ha chiaramente fatto capire che non può più escludere la possibilità di un nuovo isolamento collettivo. In ogni caso ora girare per la strade dà senza dubbio un senso maggiore di tranquillità».

In che senso?

«Fino ad ora è stato un rompicapo capire esattamente quale strada fosse soggetta all’obbligo mascherina e quale no. Almeno per Parigi è valsa la confusione più totale, diversamente da Marsiglia dove almeno c’erano dei cartelli ben evidenti. Fino all’obbligo di pochi giorni fa, in tutte le città più a rischio si poteva far affidamento sull’indicazione di mascherina esclusivamente per alcune strade.

A parte qualche articolo di giornale che ha riassunto tutta la mappatura della città, e i documenti ufficiali sui siti dei singoli e vari municipi, era davvero difficile capire al momento se la strada che stavi percorrendo fosse soggetta o no a obbligo. La confusione ha sicuramente favorito la negligenza, già di base piuttosto diffusa.

Dietro casa mia ci sono due strade importanti, una era a soggetta a obbligo mascherina l’altra no. Si può immaginare come andando in zone della città che non si conoscono diventa tutto più difficile».

Giampaolo Bonaura|Giovani a Marsiglia

Diverso discorso per Marsiglia?

«Sì, anche se l’osservanza dell’obbligo è stata comunque poco rispettata. Ma almeno la zona più centrale, quella soprattutto del porto, era piena di cartelli ben visibili che avvertivano sulla validità della prescrizione per una determinata strada o per un’altra. Parigi è molto più grande di Marsiglia, non si possono fare differenze tra una strada e un’altra e pretendere che si conoscano tutte».

Oltre all’esterno, le prescrizioni sono state ampliate anche per l’interno. Che clima si respira negli ambienti lavorativi?

«Parlo per la mia esperienza e quella di un numeroso gruppo di amici e conoscenti che ormai stando qui da anni sono riuscito a crearmi. Attualmente viviamo il terrore di ricevere una mail dall’ufficio risorse umane che ci avverte di dover lavorare confinanti di nuovo a casa per almeno due settimane, causa caso positivo di un collega o di un contagiato con cui un collega è entrato a contatto.

Succede spesso e nonostante lo smart working sia realtà sperimentata per causa di forza maggiore, non la viviamo bene. Ora le cose saranno ancora più difficili con la disposizione che entrerà in vigore dal 1 settembre».

Quella dell’obbligo di mascherina in un ufficio anche nella propria postazione singola?

«Sì, e per chi svolge un’attività come la mia che costringe a stare al telefono per circa 6 o 7 ore, sarà molto dura. Abbiamo ricominciato ad andare in ufficio da giugno con un’attività ciclica che consentiva un massimo di 12 persone a giro presenti all’interno dei locali. L’obbligo della mascherina valeva per gli spostamenti all’interno dell’ufficio ma non certo anche al tavolo. Da domani sì e non sarà per niente facile».

Quanta paura hai?

«Ho vissuto molto male il confinamento e per natura sono un ipocondriaco. Nonostante questo mi rendo conto che il mio stress e la mia paura sono molto calati. Cerco sempre di rispettare le prescrizioni ma non mi nego di uscire e vivere momenti di normalità di cui non voglio fare a meno».

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