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Il lavoro dell’influencer: inquadramento e contratto per la nuova professione

03 Settembre 2020 - 21:35 Emma Benini
Breve guida sull'inquadramento contrattuale del rapporto di lavoro dell'influencer in un sistema normativo ancora lacunoso

Definizione e inquadramento giuridico

Alla voce influencer del vocabolario Treccani si legge:

personaggio popolare in rete, che ha la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti e, in particolare, di potenziali consumatori, e viene utilizzato nell’ambito delle strategie di comunicazione e di marketing“. 

In altri termini, oggi la popolarità in rete non è più fine a sé stessa ma viene considerata funzionale per influenzare le scelte di acquisto dei consumatori-follower. Infatti, sono sempre più e sempre più disparate – dal settore beauty a quello della grande distribuzione – le società che stipulano contratti con personaggi (più o meno) famosi nel mondo dei social-media, direttamente o tramite agenzie, affinché questi pubblicizzino un loro prodotto.

Questi contratti sono riconducibili alla tipologia dei “contratti di prestazione d’opera intellettuale”: l’attività svolta da questi professionisti è, infatti, assimilabile a quella del conduttore di campagne marketing, anche con riferimento all’assegnazione del codice Ateco

Le diverse tipologie di influencer

Per meglio comprendere le peculiarità del rapporto di lavoro degli influencer, nonché dello stesso contratto sottoscritto con la società, è innanzitutto necessario premettere che non esiste un’unica tipologia di influencer: sotto la stessa definizione, sono ricomprese fattispecie tra loro eterogenee, che si distinguono per il numero di utenti (nel gergo “follower“) che seguono il personaggio sui vari social network (in particolare, Instagram e TikTok). 

Perché il proprietario di un account social possa essere definito influencer, ed essere così oggetto di attenzioni da parte delle società, deve poter contare su un certo numero di follower: si parte dai cosiddetti “nano-influencer” (fino a 1.000 seguaci, solitamente settorializzati in un determinato ambito, come gli sport estremi o i video-games), passando per “micro-influencer” (sino ai 100mila follower) e “influencer” (tra i 100mila e i 500mila follower), per raggiungere i cosiddetti “macro-influencer” (veri e propri personaggi pubblici, solitamente famosi anche oltre il mondo social, che possono vantare anche milioni di seguaci). 

Il numero di seguaci non è, del resto, fine a sé stesso: una più folta schiera di follower comporta un maggior potere contrattuale (ed economico) a vantaggio dell’influencer a cui è – solitamente – riconosciuto anche un maggior spazio di discrezionalità nella scelta delle modalità con cui effettuare la sponsorizzazione al prodotto. 

La prestazione e il corrispettivo

Al contrario, invece, gli influencer con un seguito più contenuto vengono solitamente ingaggiati tramite la sottoscrizione di contratti standard, in cui – molto spesso – il corrispettivo per la sponsorizzazione non è un emolumento in denaro, ma la cessione dei prodotti pubblicizzati o gift card. Spesso accade, inoltre, che le società richiedano, prima di stipulare singoli contratti, di ricevere una “prova” del numero di follower dichiarati dall’influencer, tramite le effettive reazioni da parte degli utenti ai suoi post. 

L’obbligazione contrattuale richiesta agli influencer, a prescindere dal numero di seguaci di ciascuno, è in sostanza la stessa: la promozione di uno o più determinati prodotti del brand che ha ingaggiato l’influencer tramite post sui social network. Il contratto può poi prevedere specifiche obbligazioni in capo all’influencer, ad esempio il rispetto di prestabilite tempistiche di pubblicazione e del numero minimo di post, il diritto di esclusiva, oltre all’obbligo di rispettare il codice etico della società.

Il vuoto normativo italiano e le tutele offerte nel Regno Unito e negli Usa

Rimane comunque da evidenziare che, tutt’oggi, in Italia vi sono importanti lacune normative nel settore, che si è formato soprattutto tramite una prassi che non garantisce sempre adeguatamente gli interessi dei lavoratori. Per sopperire alla differente forza contrattuale tra influencer e società, negli Stati Uniti e in Regno Unito sono stati fondati, nell’estate 2020, veri sindacati di categoria – rispettivamente, American Influencer Council (AIC) e The Creator Union (TCU) – con l’obiettivo di regolamentare i contratti tra società e influencer, sia dal punto di vista economico che dell’immagine. È quindi auspicabile che, prossimamente, venga seguito questo modello anche in Italia. 

Immagine di copertina: Chiara Ferragni, foto di Mourad Balti Touati/ANSA

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