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Rete unica in fibra ottica: quando lo Stato si fa imprenditore – Il commento

04 Settembre 2020 - 12:01 Martino Liva
Dalla fusione di FiberCop e Open Fiber nascerà AccessCo, società che gestirà la rete unica in fibra in Italia. Tra le problematiche principali ci sono il controllo societario e la governance

Dopo gli esiti degli ultimi CdA di Telecom e Cassa Depositi e Prestiti è più facile scommettere che anche l’Italia avrà una rete unica in fibra ottica. La decisione segue anni di dibattiti politici, finanziari e industriali (ricordate la proposta di scorporo della rete Telecom di Rovati, consigliere di Prodi, nel 2006, allora giudicata scandalosa?), in un contesto con ancora alcune carte da svelare.

I passaggi societari

Come ci si dovrebbe arrivare, entro il primo trimestre del 2021, ora è un po’ più chiaro. Sarà un doppio passaggio societario: prima, la creazione di FiberCop, cui Telecom conferirà la cd. rete secondaria (rete che corre dalle cabine alle abitazioni e uffici), società di cui diverranno soci al 37,5% il fondo americano KKR con un investimento di 1,8 miliardi di Euro (con enterprise value di FiberCop valutato 7,7 miliardi) e Fastweb, per il residuo 4,5%.

Quindi, la fusione tra FiberCop e Open Fiber, società di Enel e CDP che sta sviluppando un’infrastruttura nuova integralmente in fibra, in competizione con Telecom, preceduta però dal conferimento da Telecom a FiberCop anche della cd. rete primaria (dalle cabine alle stazioni).

Dalla fusione di FiberCop e Open Fiber nascerà AccessCo, società che gestirà la rete unica in fibra in Italia. Tra le problematiche principali ne esistono due probabilmente decisive, rispetto a cui, da quanto trapela dalla lettera d’intenti tra Telecom e CDP, le risposte sono suggestive ma ancora sbiadite.

Due temi da monitorare: controllo e governance 

Innanzitutto, l’operazione lascerebbe infrastrutture (controllo della rete) e servizi (offerta di contenuti) sotto uno stesso tetto. Telecom infatti avrebbe il controllo di diritto (51%) di AccessCo e continuerebbe anche a fornire contenuti (pensiamo a TimVision) in concorrenza con altri operatori (ad es. Sky) privi però del controllo della rete. Quindi c’è il tema della proprietà della società di gestione della rete.

AccessCo gestirebbe infatti la rete unica in fibra nell’intero paese, sia nelle cd. aree nere (aree urbane, commercialmente appetibili, dove oggi si fronteggiamo Telecom e Open Fiber) sia nelle cd. aree bianche, dove gli operatori privati non hanno mostrato interesse a investire ma è compito dello Stato diffondere la banda.

Le risposte? Per ora solo accennate, ma sarà necessario dare disclosure e opportune garanzie in fase di vaglio antitrust, a livello italiano ed europeo. Una è l’idea di aprire la futura AccessCo anche ad altri operatori e apporti di asset, aumentando quindi la compagine dei soci, sotto il coordinamento di “un tavolo tecnico sull’infrastruttura di rete” guidato da CDP, come si legge nel comunicato di quest’ultima.

Un’altra consiste nella struttura della governance di AccessCo. Non la “classica” dissociazione tra proprietà e controllo come talvolta capita nel private equity (che significa dare il timone dell’azienda a manager indipendenti o espressione del socio industriale di minoranza) ma una particolare governance “incrociata” che nelle intenzioni dei soci salvaguarderebbe l’indipendenza di AccessCo.

La minoranza dell’assemblea (CDP), eleggerebbe la maggioranza del CdA, lasciando però alla maggioranza dell’assemblea (Telecom) la scelta del “capo azienda” (amministratore delegato). La combinazione di strumenti del diritto societario (categorie di azioni, voto di lista, voto plurimo per certe materie) lo consente.

Potrebbe essere un esperimento di controllo pubblico sulla managerialità del privato tutto concentrato nella dialettica interna del CdA tra l’AD “privato” e il CdA a maggioranza “pubblica”. Una struttura ibrida, che senz’altro segue il trend del momento: uno Stato molto interessato a fare anche l’imprenditore.

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