Il capo del Cts: «Piano segreto? Il ministero non sapeva neanche quante mascherine servissero». Speranza: «Era uno studio. Nessun buco sulle nostre decisioni»
Dopo la desecretazione di tutti i verbali del Cts ora cominciano ad emergere le ragioni di quella decisione. Ma i retroscena sono ancora nebulosi e tra il Comitato e il ministero della Salute c’è sempre meno chiarezza su chi avesse chiesto di “secretare” gli atti e perché. Per Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, quei documenti non sono mai stati segreti: «Ha usato quell’aggettivo, segreto, Andrea Urbani, direttore generale del ministero della Salute. Ne è nato un cinema», ha dichiarato Miozzo a La Repubblica.
Per il medico, presto in pensione, il Cts aveva chiesto riservatezza solo sui numeri arrivati al comitato il 12 febbraio e redatti dal ricercatore Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler sulle previsioni di morti e contagi che il Coronavirus avrebbe potuto fare in Italia. «Volevamo evitare il panico», dice Miozzo. E su questo sembra concordare anche il ministro della Salute Roberto Speranza che al Corriere della Sera ha invece affermato che quello secretato: «Era uno studio in itinere su scenari potenziali e diversi tra loro, iniziato dai nostri scienziati a metà febbraio e completato a marzo».
E fin qui tutto bene. Se non fosse che per Miozzo le responsabilità del Ministero non sono poche. Anzi. Alla domanda se esistesse un piano pandemico al 7 febbraio la risposto del medico è negativa: «Questa è stata la grande debolezza del ministero della Salute. Non esisteva una previsione di
mascherine necessarie, posti letto da liberare. Soprattutto, non c’erano
scorte. Il Paese partiva da zero e noi, da zero, dovevamo preparare in tutta fretta un Piano anti-Covid da utilizzare subito». Dall’altra parte il ministro Speranza nega che ci sia stato un vuoto decisionale: «Ma quale buco! Ricordo che il 14 febbraio la ECDC valutava improbabile la diffusione del Coronavirus in Europa. Il 21 scoppia il caso Codogno», dice Speranza che aggiunge: «È stato un merito fare quello studio».
Foto copertina: ANSA / MATTEO BAZZI
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