Omicidio Khashoggi, otto condanne tra 7 e 20 anni. La compagna: «Una farsa». L’Onu: «Verdetto senza legittimità legale o morale»
Otto condanne con pene tra i 7 e i 20 anni di carcere. Questa la sentenza definitiva dei giudici dell’Arabia Saudita per l’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista e scrittore dissidente ucciso il 2 ottobre del 2018 a Istanbul, nel consolato di Riad. Solo qualche mese fa, i familiari dell’editorialista del Washington Post avevano aperto all’ipotesi di perdonare gli imputati per l’omicidio, dopo il quale i resti di Khashoggi non sono mai stati rinvenuti.
E proprio da questo gesto – arrivato nelle ultime ore del mese di Ramadan quando, secondo tradizione islamica, i fedeli valutano gesti di clemenza come questo – sarebbe cominciata una revisione della condanna a morte inflitta in primo grado a cinque imputati. L’apertura della famiglia di Khashoggi era stata accompagnata da molte polemiche a causa di alcuni trasferimenti di denaro e di altri beni ai figli del reporter, provenienti proprio dalle autorità saudite.
L’Onu: «Verdetto senza legittimità legale o morale»
Di «parodia di giustizia» parla su Twitter Agnes Callamard, responsabile Onu per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie. La sentenza saudita sull’omicidio Khashoggi «non ha alcuna legittimità legale o morale». «Un verdetto giunto alla fine di un processo che non è stato né equo, né giusto, né trasparente», ha affermato l’esperta indipendente delle Nazioni Unite che ha indagato sul caso per lunghi mesi, tentando di far luce su quanto accaduto veramente in quel consolato. Callamard aveva anche firmato un rapporto in cui puntava il dito contro presunte responsabilità del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman per l’uccisione del giornalista dissidente.
La reazione della fidanzata: «La sentenza di Riad deride la giustizia»
«Una totale derisione della giustizia». Così la fidanzata turca di Jamal Khashoggi commenta la sentenza definitiva dei giudici dell’Arabia Saudita per l’omicidio del giornalista dissidente. «Le autorità saudite hanno chiuso il caso senza che il mondo conosca la verità su chi sia responsabile dell’omicidio di Jamal», scrive in una nota Cengiz, dicendosi convinta che «la comunità internazionale non accetterà questa farsa». «Sono più determinata che mai a lottare per la giustizia per Jamal», conclude la donna, che fu l’ultima a vederlo in vita fuori dal consolato di Riad nel quale il giornalista entrò per non uscire mai più.
Leggi anche:
- A due anni dalla morte, arriva un documentario sull’omicidio di Khashoggi – Il video
- Omicidio Khashoggi: cinque condanne a morte per la morte del giornalista saudita
- Omicidio Khashoggi, Jeff Bezos a sorpresa a Istanbul fuori dal consolato saudita: «Chiediamo giustizia» – Video
- Pegasus, cos’è il malware israeliano che si insinua nel cloud e in Whatsapp: ombre anche sul caso Khashoggi
- Omicidio Kashoggi, l’accusa dell’Onu: «Prove credibili contro il principe Bin Salman»
- Nyt: «Bin Salman aveva già minacciato di uccidere Khashoggi nel 2017»
- L’Onu indagherà sull’omocidio di Jamal Khashoggi