Francesco Belleggia, l'unico degli indagati che dopo le dichiarazioni è andato ai domiciliari, ha raccontato la dinamica dei fatti e come i due fratelli abbiano cercato di sviare le responsabilità
Politraumi sul torace, addome e collo. Calci e pugni e infine l’arresto cardiaco. L’autopsia ha confermato la brutalità degli attimi che hanno portato alla morte di Willy Monteiro Duarte, avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 settembre a Colleferro. Dal documento del Gip sono emersi altri dettagli su quelle ore. Soprattutto, il patto di silenzio che i quattro membri della comitiva coinvolti nel pestaggio avrebbero stretto in auto.
A raccontarlo al Gip è stato Francesco Belleggia, uno degli indagati nella morte del 21enne. Belleggia ha riferito che i due fratelli Bianchi prima dell’arresto gli avevano consigliato sul Suv di mantenere il silenzio sulle loro condotte.
Fatto sta che il ragazzo è stato l’unico a fornire dei dettagli sull’accaduto agli investigatori, assumendosi la responsabilità della prima lite con Federico Zurma (quella davanti al locale di Colleferro che Willy aveva provato a sedare) ma non dell’aggressione nei confronti di Willy che, dice sempre Belleggia, «non c’entrava nulla».
Nel racconto, una volta in macchina, i fratelli Bianchi avrebbero anche scaricato la responsabilità su Mario Pincarelli, l’unico che non viaggiava con loro. Ma Belleggia, che resta comunque indagato per l’omicidio preterintenzionale in concorso, dice di non aver visto «i colpi di Mario».
Ancora oggi Marco e Gabriele negano: «Noi non l’abbiamo toccato». Ma a smentire la loro versione c’è proprio Belleggia che al Gip riferisce che: «Marco Bianchi si è avvicinato a Willy e gli ha tirato un calcio, lui è caduto all’indietro. Mentre Gabriele Bianchi ha picchiato l’amico di Willy».
Mentre era per terra, il gruppo ha proseguito a sferrare calci e pugni tanto che «questi non è più riuscito a rialzarsi». È la testimonianza di Matteo Larocca, un ragazzo presente vicino al pestaggio. Il quale ha confermato che tra gli aggressori «c’erano anche i fratelli Bianchi».
La senatrice a vita, nel giorno dei suoi 90 anni, dedica un pensiero al 21enne ucciso: «Una barbarie assoluta, mi ha fatto pensare che tutto ciò che ho provato a fare contro la violenza e l’odio alla fine è servito a poco»
«Il pestaggio di quel ragazzino mi ha suscitato tormenti e ricordi terribili. L’ho trovata una barbarie assoluta». Nel giorno dei suoi 90 anni, Liliana Segre dedica il proprio pensiero a Willy Monteiro Duarte, il 21enne ucciso a Colleferro in una rissa nella notte tra sabato e domenica.
«Vorrei fare mie le parole della presidente della nostra comunità, Noemi Segni, che ha scritto un messaggio bellissimo, ricordando come questa esaltazione non della vittima ma dei suoi persecutori, e si riferisce a tutto ciò che è stato scritto sui social, alla fine ha ucciso ancora e ancora il povero Willy», dice Segre a La Stampa.
«Questa cosa mi ha fatto molta paura», prosegue la senatrice a vita, «è stata come una sconfitta personale, mi ha fatto pensare che tutto ciò che ho provato a fare contro la violenza e l’odio, alla fine è servito a poco. Se ancora ci sono in giro persone che pensano di risolvere le proprie sconfitte personali picchiando il prossimo, siamo ancora in una società lontana dalla civiltà».
Secondo Segre, «siamo alle prese con un problema di mentalità fascista che ancora ci pervade e da cui non facciamo mai abbastanza per liberarci. Questa storia è un naufragio della civiltà su cui dovremmo riflettere seriamente».
Sui suoi 90 anni: «Sono rinata più volte»
Parlando dei suoi 90 anni, Segre dice: «Si, sono fortunata, sono rinata più volte: dalla deportazione, dalla mia vita giovanile, da quella di donna sconosciuta e silenziosa. Ho avuto così tante fasi… E’ stata una vita lunga e a volte faticosa. Io stessa mi ripenso, l’ho sempre fatto, credo sia una peculiarità delle donne. Ricordo di averlo fatto anche a cinquant’anni, quando iniziai a raccontare la mia storia, a ribellarmi al silenzio e all’oblio. Allora ero abbastanza stupita, e ora ancora di più. Chi l‘avrebbe mai detto».
Per ora è soltanto un’idea che circola riservatamente nei corridoi del governo e del ministero della Salute, ma la proposta potrebbe presto finire sul tavolo del Comitato tecnico scientifico (Cts). Il governo sta pensando di abbassare da 14 a 10 giorni il periodo di quarantena per chi è stato a contatto con un positivo al Coronavirus, secondo quanto riporta Repubblica.
Non un taglio netto come quello che si appresta a varare la Francia, e che in Italia è sostenuto – tra gli altri – dal virologo Matteo Bassetti, ma comunque una riduzione significativa, volta a diminuire costi sociali ed economici.
Per accorciare il periodo di quarantena serve il via libera del Cts. E non è detto che già oggi, nel corso dell’incontro in agenda con il segretario del Comitato Agostino Miozzo, il ministro della Salute Roberto Speranza non inizi a sondare il terreno.
«C’è un dibattito aperto – ha detto ieri il ministro – ed ora l’opinione prevalente è che si deve ancora approfondire. Si può ipotizzare una riduzione, ma la valutazione la faremo con il Cts e anche con gli altri Paesi Ue. Ci sono diverse soluzioni, noi però ci inspiriamo al principio di prudenza».
La posizione dell’Oms
La durata dei tempi di quarantena divide e fa discutere. Mentre infatti la Francia ne riduce i giorni e i ministri della Salute Ue esaminano il ‘dossier’, l’Oms raccomanda di mantenerla a 14 giorni.
L’ Oms «sta seguendo le discussioni» – ha detto l’ufficio europeo dell’Organizzazione – ma «difende la raccomandazione di una quarantena di 14 giorni per prevenire la trasmissione del virus. Questa raccomandazione – aggiunge l’Organizzazione – è basata sui dati disponibili sul periodo di incubazione; in sostanza il periodo medio è di 4-5 giorni, con un limite superiore di 14 giorni».
A proposito dell’esempio francese, «può essere visto come quello di un paese che adatta la propria risposta al virus all’accettazione delle misure da parte del pubblico per poter aumentare l’adesione. Noi stiamo seguendo queste discussioni, ma difendiamo la nostra raccomandazione di una quarantena di 14 giorni per prevenire una ulteriore trasmissione».
La posizione dell’Oms dunque pare netta, ma non sarebbe la prima volta che il Cts ne contraddice i suggerimenti. A giugno, il Comitato non ascoltò le indicazioni in merito alla possibilità di fare un solo tampone per sancire la scomparsa della malattia, ribadendo invece il bisogno di fare due tamponi.
Situazione critica in Iowa, Nord e Sud Dakota. Mentre a San Paolo il governatore parla di risultati «estremamente positivi» dai trial: «Prime dosi a dicembre»
Negli Stati Uniti continua a correre il contagio da Coronavirus. Il numero dei decessi ha superato quota 190 mila (gli Stati Uniti hanno registrato finora 58 morti ogni 100.000 persone). I casi di contagio sono 6.351.623 milioni. Nel dettaglio, a preoccupare particolarmente è il Midwest. Stando a un’analisi di Reuters, l’Iowa ha attualmente uno dei più alti tassi di infezione negli Stati Uniti, con il 15% dei test della scorsa settimana che sono risultati positivi. Il vicino Sud Dakota ha una percentuale di test positivi del 19% e il Nord Dakota è al 18%.
L’impennata sarebbe in parte legata alla riapertura dei college nell’Iowa e a un rally motociclistico tenutosi ad agosto a Sturgis, nel Sud Dakota. Nel frattempo, a ridosso del Midwest, il governatore della West Virginia, Jim Justice, ha espresso preoccupazione per la velocità di trasmissione del virus nel suo stato e ha esortato i residenti a «allacciare le cinture» e a cercare di fermare la diffusione del virus.
Brasile
Il governatore di San Paolo: «Presto saremo in grado di vaccinare i brasiliani a San Paolo e in tutto il Paese con il vaccino CoronaVac»
Segnali positivi dai trial in Brasile di un vaccino cinese contro la Covid-19. Trial che hanno mostrato risultati «estremamente positivi», ha detto il governatore dello stato di San Paolo, secondo cui le vaccinazioni potrebbero iniziare già a dicembre. San Paolo, l’epicentro della pandemia in Brasile, è uno dei sei stati che contribuiscono a testare il cosiddetto vaccino CoronaVac sviluppato dall’azienda farmaceutica cinese Sinovac Biotech, riferisce Afp.
Il vaccino ha prodotto una risposta immunitaria nel 98% dei riceventi di età superiore ai 60 anni, senza effetti collaterali negativi segnalati finora, ha detto il governatore Joao Doria. «I risultati sono stati estremamente positivi», ha detto. «Presto saremo in grado di vaccinare i brasiliani a San Paolo e in tutto il Paese con il vaccino CoronaVac. La data di consegna prevista è a dicembre di quest’anno».
GIAPPONE
Alimentazione varia e più esercizio fisico
In Giappone, fa parlare un’indagine del gruppo assicurativo Meiji Yasuda, secondo cui quasi la metà delle persone intervistate afferma di sentirsi più in forma dalla diffusione della pandemia: il tutto grazie alle precauzioni adottate durante l’emergenza sanitaria e al miglioramento generale del proprio stile di vita.
Nell’ambito dell’indagine – effettuata nella prima metà di agosto su uomini e donne sposate di età compresa tra i 20 e i 79 anni – sono state intervistate 5.640 persone, il 48,1% delle quali dice di sentirsi ‘più sano’ o ‘leggermente meglio’ a seguito delle raccomandazioni di stare a casa.
Il risultato rivela come gran parte del campione abbia migliorato le proprie abitudini, come ad esempio un’alimentazione più varia, e contemporaneamente incrementato l’esercizio fisico.
Tra le ragioni del cambiamento favorevole delle proprie condizioni di salute, prevale una maggiore attenzione alla dieta e ai valori nutrizionali per il 51% degli intervistati, il tempo a disposizione da dedicare alla ginnastica per il 35%; per il 23% delle persone si è dimostrato fondamentale una minore incidenza dello stress, mentre per il 6% la riduzione del consumo di alcool.
«I ministri Speranza e Azzolina non possono puntare tutto sul buon senso della collettività: questo significa sottostimare un problema che fino a ieri ci ha messi in ginocchio», afferma Rusconi
«Siamo scontenti e insoddisfatti, chi non lo sarebbe?». Insomma, ormai è deciso: il 14 settembre la scuola ripartirà in (quasi) tutta Italia. Ieri, 9 settembre, l’annuncio in conferenza stampa del premier Giuseppe Conte che ha voluto così spegnere le polemiche crescenti degli ultimi giorni in vista della riapertura.
Eppure c’è chi non è pienamente soddisfatto per questa ripartenza. Dopo le dichiarazioni dell’assessore alla Scuola della Regione Lazio Claudio Di Berardino – «Solo nel Lazio 9mila studenti sono senza aule» -, anche Mario Rusconi, ex preside, presidente dell’Associazione nazionale presidi della Regione Lazio, ha fatto notare che c’è ancora molto da fare.
In queste ore monta infatti la protesta portata avanti dai dirigenti scolastici sulle incertezze e sulle misure di contenimento del Coronavirus, ritenute troppo deboli. «È più facile investire per la sagra della patata rossa che sulla scuola. La scuola non porta voti», racconta amareggiato, mentre commenta la situazione del suo territorio a pochi giorni dalla riapertura degli istituti scolastici. «È i problemi che abbiamo sono molti».
Professore, ci spiega meglio?
«Sono due i problemi da cui ancora non schiodiamo e chissà quando li scavalleremo. Il primo, quello dei professori. In tutta Italia mancano all’appello tra i 60 e i 70mila professori. Ed è il motivo per cui la scuola, ormai da vent’anni, comincia tra fine ottobre e inizio novembre. Non fanno concorsi, da settembre in poi siamo occupati a mettere toppe, tappare buchi che altrimenti renderebbero faticoso l’anno scolastico. È un’annosa e inquietante questione. Chissà che quest’anno il governo apra gli occhi, vista la condizione in cui siamo».
E il secondo problema?
«Le aule. E sono un grandissimo problema. Servono aule apposite, che possano arieggiare continuamente, quindi costruite in edifici recenti. Anche qui abbiamo fallito. Nel Lazio il 56% delle strutture scolastiche risalgono a prima degli anni ’70. Dalla riunione di ieri con la Direzione generale Lazio è venuto fuori che solo nelle scuole superiori mancano centinaia di aule nel Lazio. Così come mancano alle scuole elementari e alle medie. Un disastro».
Si è già svantaggiati ancor prima di cominciare…
«Senza contare che le amministrazioni, comunali e provinciali, che gestiscono le strutture scolastiche – perché la manutenzione, che sia ordinaria o straordinaria non spetta in alcun modo ai presidi – hanno investito troppo poco in previsione della riapertura. Avrebbero dovuto verificare, fare interventi di ristrutturazione. I soliti discorsi che ci portiamo dietro da decenni…».
Ha sentito presidi di altre regioni?
«Se guardasse il mio telefono, vedrebbe che ho diverse chat Whatsapp con circa qualche centinaio di partecipanti. Tutti presidi. Dalle 5 e mezza del mattino fino a tarda sera passiamo il nostro tempo a confrontarci, e siamo allineati sulle questioni principali. Addirittura stamattina mi ha telefonato una preside di Novara: era in difficoltà, non sapeva con quale spirito avrebbe potuto riaprire la sua scuola».
E con le misure di contenimento come siete messi?
«Noi ci siamo attrezzati da mesi, ormai. Gel, mascherine, termoscanner, ma non basta. Così come i ministri Speranza e Azzolina non possono puntare tutto sul buon senso della collettività: questo significa sottostimare un problema che fino a ieri ci ha messi in ginocchio».
Conte ha dichiarato che in ogni Regione si riaprirà in totale sicurezza…
«Conte deve però anche ricordare che il titolo V della Costituzione dice una cosa precisa: la data di ripartenza spetta alla singola Regione stabilirla, dunque non può essere lui a decidere per tutti. E infatti Regioni come la Campania e la Basilicata hanno già rinviato – al 24 settembre, ndr – perché non si sentono pronte. Qualcosa vorrà pur dire…».
Quindi sicurezza fino a un certo punto.
«Ma certo. Non è pensabile restituire ai ragazzi una scuola per come la ricordavano, e questo lo sappiamo e dobbiamo farci pace. Il punto è che questa volta non possiamo essere noi, personale scolastico, a prodigarci per far quadrare i conti. Per dirne una? Se gli alunni non hanno un’aula a disposizione, non potremo frammentare la classe in altre classi, perché le misure di sicurezza ci impongono che deve esserci una distanza minima tra un allievo e un altro».
Altri imprevisti?
«Diversi, ma se avessimo saputo prevederli, oggi non si chiamerebbero imprevisti».
Lo scrittore attacca il leader dem: «Mostra determinazione solo sulle cazz***. Del Pd non se ne può più». Poi definisce il cinquestelle un despota e stronca il premier: «Se l'orizzonte è morire Dc era meglio morire da piccoli»
All’indomani della direzione Pd che ha schierato il partito a favore del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari, Roberto Saviano aveva twittato «ma andate a cag*** voi e le vostre bugie». A 24 ore di distanza, in un’intervista a La Stampa, torna su quel post, e lo fa di fatto rincarando la dose contro il Pd e il suo leader, Nicola Zingaretti. Prima di schierarsi dall’altra parte della barricata in vista del referendum del 20 e 21 settembre: «Dopo la scelta della direzione Pd voterò continuamente No. E il mio sarà un voto contro questa classe dirigente».
Quanto alle bugie menzionate nel tweet, Saviano dice: «La prima e più grande è l’inversione di rotta sulle politiche migratorie. Il dramma libico è talmente enorme che solo la storia potrà rendere giustizia all’immane sofferenza di esseri umani che preferiamo gestire pagando direttamente i loro carnefici».
Secondo lo scrittore, «è offensivo parlare del nulla mentre sull’altra sponda del Mediterraneo la gente soffre le pene dell’inferno. Questo è il problema principale di Zingaretti: mostra grande determinazione sulle cazzate e si defila sulle questioni fondamentali».
«Non se ne può più – dice Saviano a proposito del Pd – di chi non ha una posizione su nulla e giustifica la propria esistenza da 25 anni prima in opposizione a Berlusconi e poi a Salvini. Indignandosi quando sono all’opposizione e lasciando tutto immutato (per meglio gestire il potere) quando sono al governo. È politica questa? A me pare sopravvivenza».
Parlando del referendum in sé, Saviano dice: «Questo referendum è molto particolare e per potermelo spiegare ho ripensato alla definizione di schizofrenia: una serie di pensieri lucidi che ruotano attorno a un pensiero delirante. Ecco, c’è il dibattito sul referendum che è anche godibile se sei un costituzionalista o un politologo; ma questo dibattito riguarda una questione tanto inutile per il futuro del nostro Paese da essere offensivo in sé il solo chiedersi cosa votare. Quanto alla posizione del Pd potrebbero votare no, forse, magari… non credono in niente».
Saviano ne ha per tutti. Boccia l’operato del governo: «Non ho mai avuto alcuna aspettativa su questo governo. Poi è evidente che c’è, c’è stato e potrà esserci di peggio. Ma io non sono montanelliano non mi piace turarmi il naso». Attacca duramente Luigi Di Maio, definendolo «intriso di una cultura profondamente autoritaria e xenofoba». E stronca Giuseppe Conte quale punto di riferimento delle forze progressiste: «Se l’orizzonte è morire democristiani, come cantava Paolo Rossi, “era meglio morire da piccoli».
Vittima di razzismo nel 2019 e incensurata, dopo l'aggressione a Salvini gli utenti la trasformano in una delinquente pluri condannata
Il 9 settembre 2020 Matteo Salvini, leader della Lega, è stato aggredito a Pontassieve (Firenze) da una donna originaria del Congo maledicendolo e strappandogli di dosso il rosario. La donna, secondo quanto riportato dal Corriere, sarebbe impegnata nel servizio civile per il Comune di Pontassieve, ma su di lei stanno circolando alcuni post social che non trovano riscontro.
Su Instagram, così come su diversi post Facebook, circola un testo in cui viene accusata di essere stata condannata per spaccio, favoreggiamento all’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione. Tre accuse gravi che, come ho detto in precedenza, non si trova alcun riscontro. Nessuna testata giornalistica riporta un’informazione del genere che, se fosse vera, sarebbe stata cavalcata come minimo dalla persona aggredita: Matteo Salvini.
Come riporta La Nazione, la donna risulta essere incensurata:
La 30enne, che non ha precedenti penali, rischia una denuncia per violenza privata e resistenza a pubblico ufficiale: accertamenti in tal senso sono in corso da parte della Digos. La donna avrebbe agito da sola e non aveva preso parte alla manifestazione che questa mattina si è tenuta a Pontassieve contro la presenza di Salvini.
La giovane che ha aggredito il leader della Lega, A.F.B, strappandogli camicia e rosario, è originaria del Congo, dove è nata 30 anni fa. Attualmente è impegnata nel servizio civile per il Comune di Pontassieve, nel progetto «La scuola, l’ambiente e la comunicazione istituzionale». La ragazza è una giovane ben inserita, laureata e incensurata, che partecipa spesso alle iniziative del comitato Bianco e Nero che si occupa di progetti di solidarietà verso l’Africa. Lei stessa, in passato, si è impegnata in progetti come quello per la creazione di una scuola di cucito per ragazze madri a Kinshasa. È un volto noto in paese, ha anche lavorato come cameriera in una piccola enoteca del centro storico di Pontassieve.
Effettuando un’ulteriore ricerca, in un articolo di Firenze Today del 2019 si parla di una ragazza congolese di 29 anni che venne attaccata in stazione da un’altra donna con riferimenti razzisti:
Appena scesa dal treno alla stazione di Pontassieve, una studentessa di origini congolesi che frequenta l’università di Firenze, è stata avvicinata da una persona che le ha sputato addosso ed ha iniziato ad inviarle contro: “Vattene, sei nera”.
[…]
Secondo quanto riportano i due quotidiani, ad aggredire la studentessa, 29enne residente a Firenze da vari anni, è stata una donna.
La conferma che si parli della stessa persona arriva dall’intervento di Monica Marini, sindaco di Pontassieve:
«La conosciamo – spiega Marini – svolge oramai da qualche mese il servizio civile in Comune insieme ad altri ragazzi, è stata selezionata col bando della leva civile nazionale. In passato lei è stata oggetto di pesanti discriminazioni: una persona gli ha sputato addosso ingiuriandola perché di colore, chiamandola scimmia, offendendola pesantemente. Questo può avere influito sul suo stato d’animo di oggi, era visibilmente confusa dopo l’episodio, sembrava non si rendesse conto. Ovviamente questo non la giustifica. Ha sbagliato»
Le versioni dei post
Ecco il post Instagram, che mi hanno segnalatoper la verifica, dove leggiamo il testo che circola online:
Favoreggiamento dell’immigrazione illegale e sfruttamento della prostituzione. Assunta come mediatrice culturale nel comune di Pontassieve (dopo aver collaborato con la Kyenge). Solo in Italia può capitare.
Cercando su Facebook troviamo altre versioni del testo, come la seguente (post delle ore 20:38) dove invece di parlare dell’ex parlamentare europea Kyenge si parla di Don Benzi:
Dice di chiamarsi Fatima (30 anni). Condannata per spaccio, favoreggiamento dell’immigrazione illegale e sfuttamento della prostituzione (poi ha conosciuto Don Benzi). Assunta come mediatrice culturale nel comune di Pontassieve. Solo in Italia può capitare ..
Ecco un’altra versione, pubblicata dall’utente Paola nel gruppo Facebook «Dalla vostra parte», dove viene definita «clandestina»:
LA CLANDESTINA CHE HA AGGREDITO SALVINI È UNA PLURIPREGIUDICATA CONDANNATA PER SPACCIO DI DROGA, SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE, ED È STATA FATTA ASSUMERE AL COMUNE DALLA SINISTRA!! #CLANDESTINIASSUNTI E ITALIANI ALLA FAME!! #PARASSITI
Paola aveva condiviso a sua volta un altro post, ma risulta non disponibile. Troviamo, a tal proposito, uno screenshot in cui è visibile: si tratta del post della pagina Facebook di Nicola Costanzo, attualmente irraggiungibile.
In diversi post, invece, viene associato il volto di una donna che però non risulta essere lei (la spiegazione nell’ultimo capitolo di questo articolo):
Storico dei post
Tra i post più vecchi riscontrati su Facebook trovo quello della signora Roberta delle ore 16:49, ma che nel finale riporta il nome della presunta autrice: una tal Luciana Sasso.
LA POVERA RAGAZZA CONGOLESE… CHE TANTO S’OFFRE… (non è un’errore di ortografia) Condannata per spaccio, favoreggiamento dell’immigrazione illegale e sfuttamento della prostituzione. Assunta come mediatrice culturale nel comune di Pontassieve (dopo aver collaborato con la Kyenge). Solo in Italia può capitare…Luciana Sasso
Pare che il post originale sia ancora più vecchio, infatti risulta che lo screenshot anonimo circolava già alle 15:56 come possiamo vedere dal post di Gino:
Il post più vecchio in cui si sostiene che abbia collaborato con la Kyenge risulta essere, al momento, quello di Irina:
Elemento mancante, quello della Kyenge, nel post delle 15:37 di Barbara:
Condannata per spaccio, favoreggiamento dell’immigrazione illegale e sfuttamento della prostituzione.Assunta come mediatrice culturale nel comune di Pontassieve.Solo in Italia può capitare .. proprio una personcina perbene…..
La foto falsa
Tra i post Facebook circola anche una foto attribuita alla donna. Ecco un esempio:
Assunta come mediatrice culturale nel comune di Pontassieve (dopo aver collaborato con la Kyenge)!!…… questo e’ il volto dell’odio che i penta-pd-oti e tutte le sinistre della nostra politica stanno scatenando contro Salvini!!…. ma attenti maledetti cani randagi se il Capitano si fa male ….. molti di voi non staranno meglio!!…
Ecco un altro post, con un più esplicito «Ecco l’aggressore», dell’utente Raffaele che non si risparmia: «:cco la luri*aputr*da risorsa sinistra che ha assalito Salvini».
Tra i post più vecchi troviamo quello delle 17:34 di Maria dove scrive «Questa è la gentile ed elegante ventenne che ha aggredito Salvini. Ecco il volto della sinistra….».
La stessa foto venne usata in passato per parlare di una donna nigeriana, ma in realtà si tratta della protagonista di uno spot americano della Pepsi datato 2011:
Chissà cosa potrebbe pensare oggi l’attrice dello spot americano ritrovandosi accusata di essere lei la persona che ha alzato le mani su Matteo Salvini.
Il premier ha anche parlato della necessità di svolgere «test di massa» e ha fissato l'obiettivo di 500.000 tamponi al giorno per la fine ottobre
Sei persone, non di più. Questo il limite legalmente vincolante dopo che nel Regno Unito è stato ripristinato il divieto di assembramento, in vigore da lunedì 14 settembre, nel tentativo di contenere l’ondata di nuovi contagi da Coronavirus. L’annuncio ai cittadini è arrivato dal premier Boris Johnson in un briefing a Downing Street. «Ogni violazione – ha allertato Bojo – sarà considerata una violazione della legge» e ha fatto sapere che la polizia – a differenza del passato – avrà il potere di imporre multe da 100 a 3.200 sterline «e persino di procedere all’arresto in caso di resistenza e non osservanza delle norme». Nello stesso briefing il premier ha parlato della situazione a proposito della ricerca su vaccini e terapie contro il Coronavirus. «Si va avanti ma non ci siamo ancora, i risultati finali non sono certi», ha detto Bojo riferendosi allo stop temporaneo alla sperimentazione del prototipo di vaccino dell’università di Oxford. Poi ha parlato della necessità di svolgere «test di massa» e ha fissato l’obiettivo di 500.000 tamponi al giorno per la fine ottobre.