Scuola, solo nel Lazio 9mila studenti senza aule. Il presidente dei presidi: «Riaprire il 14? Il governo sottovaluta il problema» – L’intervista
«Siamo scontenti e insoddisfatti, chi non lo sarebbe?». Insomma, ormai è deciso: il 14 settembre la scuola ripartirà in (quasi) tutta Italia. Ieri, 9 settembre, l’annuncio in conferenza stampa del premier Giuseppe Conte che ha voluto così spegnere le polemiche crescenti degli ultimi giorni in vista della riapertura.
Eppure c’è chi non è pienamente soddisfatto per questa ripartenza. Dopo le dichiarazioni dell’assessore alla Scuola della Regione Lazio Claudio Di Berardino – «Solo nel Lazio 9mila studenti sono senza aule» -, anche Mario Rusconi, ex preside, presidente dell’Associazione nazionale presidi della Regione Lazio, ha fatto notare che c’è ancora molto da fare.
In queste ore monta infatti la protesta portata avanti dai dirigenti scolastici sulle incertezze e sulle misure di contenimento del Coronavirus, ritenute troppo deboli. «È più facile investire per la sagra della patata rossa che sulla scuola. La scuola non porta voti», racconta amareggiato, mentre commenta la situazione del suo territorio a pochi giorni dalla riapertura degli istituti scolastici. «È i problemi che abbiamo sono molti».
Professore, ci spiega meglio?
«Sono due i problemi da cui ancora non schiodiamo e chissà quando li scavalleremo. Il primo, quello dei professori. In tutta Italia mancano all’appello tra i 60 e i 70mila professori. Ed è il motivo per cui la scuola, ormai da vent’anni, comincia tra fine ottobre e inizio novembre. Non fanno concorsi, da settembre in poi siamo occupati a mettere toppe, tappare buchi che altrimenti renderebbero faticoso l’anno scolastico. È un’annosa e inquietante questione. Chissà che quest’anno il governo apra gli occhi, vista la condizione in cui siamo».
E il secondo problema?
«Le aule. E sono un grandissimo problema. Servono aule apposite, che possano arieggiare continuamente, quindi costruite in edifici recenti. Anche qui abbiamo fallito. Nel Lazio il 56% delle strutture scolastiche risalgono a prima degli anni ’70. Dalla riunione di ieri con la Direzione generale Lazio è venuto fuori che solo nelle scuole superiori mancano centinaia di aule nel Lazio. Così come mancano alle scuole elementari e alle medie. Un disastro».
Si è già svantaggiati ancor prima di cominciare…
«Senza contare che le amministrazioni, comunali e provinciali, che gestiscono le strutture scolastiche – perché la manutenzione, che sia ordinaria o straordinaria non spetta in alcun modo ai presidi – hanno investito troppo poco in previsione della riapertura. Avrebbero dovuto verificare, fare interventi di ristrutturazione. I soliti discorsi che ci portiamo dietro da decenni…».
Ha sentito presidi di altre regioni?
«Se guardasse il mio telefono, vedrebbe che ho diverse chat Whatsapp con circa qualche centinaio di partecipanti. Tutti presidi. Dalle 5 e mezza del mattino fino a tarda sera passiamo il nostro tempo a confrontarci, e siamo allineati sulle questioni principali. Addirittura stamattina mi ha telefonato una preside di Novara: era in difficoltà, non sapeva con quale spirito avrebbe potuto riaprire la sua scuola».
E con le misure di contenimento come siete messi?
«Noi ci siamo attrezzati da mesi, ormai. Gel, mascherine, termoscanner, ma non basta. Così come i ministri Speranza e Azzolina non possono puntare tutto sul buon senso della collettività: questo significa sottostimare un problema che fino a ieri ci ha messi in ginocchio».
Conte ha dichiarato che in ogni Regione si riaprirà in totale sicurezza…
«Conte deve però anche ricordare che il titolo V della Costituzione dice una cosa precisa: la data di ripartenza spetta alla singola Regione stabilirla, dunque non può essere lui a decidere per tutti. E infatti Regioni come la Campania e la Basilicata hanno già rinviato – al 24 settembre, ndr – perché non si sentono pronte. Qualcosa vorrà pur dire…».
Quindi sicurezza fino a un certo punto.
«Ma certo. Non è pensabile restituire ai ragazzi una scuola per come la ricordavano, e questo lo sappiamo e dobbiamo farci pace. Il punto è che questa volta non possiamo essere noi, personale scolastico, a prodigarci per far quadrare i conti. Per dirne una? Se gli alunni non hanno un’aula a disposizione, non potremo frammentare la classe in altre classi, perché le misure di sicurezza ci impongono che deve esserci una distanza minima tra un allievo e un altro».
Altri imprevisti?
«Diversi, ma se avessimo saputo prevederli, oggi non si chiamerebbero imprevisti».
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