Omicidio Willy, l’accoglienza infernale ai fratelli Bianchi in carcere: sputi e urla dai detenuti di Rebibbia
La prima cosa che hanno chiesto una volta entrati in carcere è stata: «Ma adesso saremo costretti a bere l’acqua di rubinetto?». Queste le parole dei fratelli Gabriele e Marco Bianchi, accusati dell’omicidio del 21enne Willy Monteiro Duarte, picchiato a morte a Colleferro, insieme a Mario Pincarelli e Francesco Belleggia.
Una domanda che – secondo Il Messaggero – avrebbero fatto la sera del 6 settembre mentre venivano portati a Rebibbia. Ora i due si trovano in isolamento causa Covid: sperano, tra l’altro, di poterci rimanere ancora a lungo per evitare contatti con gli altri detenuti. Il rischio è che possano essere presi di ira vista l’efferatezza del delitto ai danni di un ragazzino.
L’accoglienza in carcere
«Non vi vogliamo» e sputi al loro passaggio. Così sono stati accolti, nel carcere di Rebibbia a Roma, i presunti assassini di Willy. Il rischio di ritorsioni, dunque, è concreto: da qui la richiesta dei loro legali di continuare con l’isolamento anche nelle prossime settimane.
Intanto proprio stamattina gli avvocati dei due fratelli di 26 e 24 anni faranno ricorso al Riesame contro l’ordinanza di custodia cautelare: proveranno a confutare la trasformazione del capo di imputazione da omicidio preterintenzionale (delitto la cui gravità va oltre quella che può essere stata l’intenzione di chi ha commesso il fatto, ndr) a volontario. Probabilmente faranno leva anche sul fatto che l’arresto sia avvenuto in quasi flagranza, non durante il pestaggio.
Cosa temono
Da uomini forti e invincibili, pronti a fare botte con chiunque, a ragazzi preoccupati per le reazioni degli altri detenuti. Al giudice e ai vertici del Dap, infatti, è stato chiesto di tutelare la loro incolumità e, dunque, di assicurare il «diritto a una giusta detenzione». Dello stesso avviso il garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia secondo cui i tre (escluso, dunque, Belleggia che è l’unico a cui il giudice ha concesso i domiciliari) potrebbero essere «oggetto di attenzioni per così dire sgradite all’interno del carcere».
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