Quelli per cui la scuola non è ricominciata. La protesta dei genitori di una materna a Roma: «Vogliono trasformarla in un istituto pollaio» – Il video
Tra coloro per cui la campanella oggi, 14 settembre – giorno del rientro in classe per tanti ma non per tutti, dopo il lungo stop causato dall’emergenza sanitaria di Coronavirus – non è suonata ci sono anche i bimbi e le bimbe della scuola dell’infanzia Isacco Artom di Roma, nel quartiere di Monteverde. Se ne riparla (forse) tra dieci giorni, il 24 settembre.
I genitori lo hanno scoperto – e neppure a chiare lettere, lamentano – venerdì scorso. Non solo: se davvero sarà quello il grande giorno, i loro figli potrebbero tornare in una scuola «pollaio», dove la popolazione studentesca rischia quest’anno di raddoppiare. E il distanziamento? E le norme per contenere i contagi di Covid-19?
Oggi hanno deciso di manifestare davanti al Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici di Roma Capitale, chiedendo risposte al Municipio di competenza, il XII. Preoccupati per la sicurezza e la salute dei propri figli.
Il patto di corresponsabilità
«Ci chiedono di firmare il patto di corresponsabilità per sottoscrivere principi e comportamenti da condividere e rispettare per prevenire il contagio da Covid-19 e loro raddoppiano il numero di bambini e maestre presenti nella scuola», spiega Laura, mamma di una bimba, davanti al dipartimento in mattinata.
Comune di Roma | Il patto di corresponsabilità
Già, perché – e anche qui, denunciano, a “mozzichi e bocconi” – i genitori della scuola Artom hanno scoperto ad agosto che il Municipio avrebbe mandato da loro i 65 alunni comunali della Girolami. Alunni – e relativi insegnanti e personale, per un totale di 88 persone – che “vagano” nel quartiere di Monteverde da aprile 2019. Quest’altra scuola infatti, che fa parte dell’istituto comprensivo Margherita Hack, non riaprirà a settembre. Era il 4 aprile dello scorso anno quando un crollo del controsoffitto ha reso inagibile una parte del plesso risale.
Da allora, alunni e docenti vagano appunto per il quartiere. E quella che sarebbe la loro scuola resterà chiusa realisticamente per almeno un altro anno. «Non può essere che l’unica risposta sia mettere altri bambini in una scuola che ne può contenere 100», dicono i genitori. «La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina dice sempre no alle classi pollaio. Ha ragione: “No alla Scuola Pollaio, diciamo noi», aggiunge Giorgia Ercolani, rappresentante dei genitori.
Le informazioni che non arrivano
Venerdì 11 settembre alle ore 16.00, i genitori della Artom ricevono una email in cui si comunica che la scuola riaprirà il 24. «O meglio, la comunicazione è per i genitori della Girolami ma arrivata dalla nostra Poses ((Posizioni Organizzative dei Servizi Educativi e Scolastici, ndr), quindi immaginiamo riguardi anche noi», spiegano.
Alcuni genitori e bambini stamattina si sono presentati davanti all’edificio a Monteverde. «Trovando il cancello chiuso», racconta Emanuela, mamma di un bimbo della Artom di cinque anni. «Io e il mio compagno abbiamo dovuto prendere dei giorni, per coprire questa settimana in cui ancora non c’è scuola. Per la prossima, chissà», dice alzando le spalle.
L’incertezza sulla data del 24 viene anche dal fatto che nell’edificio della Artom sono iniziati – da pochissimo – i lavori di edilizia leggera appunto per provare a ospitare il centinaio di persone, tra bambini e personale, della Girolami. In mattinata i genitori della Artom vengono ricevuti in Dipartimento. «Ci hanno detto che non sapevano niente di tutta la questione. Questione in cui il Municipio ha autonomia», spiega Massimo Romano, papà e parte della delegazione che è salita a colloquio al Dipartimento.
«Ci hanno detto però che le due aule di quello che chiamiamo noi il ‘ballatoio’, come sospettiamo, non si possono fare e non si faranno. Accoglieremo quindi due classi della Girolami, al posto della mensa. E noi siamo d’accordo: non avremo la mensa per tutto l’anno, ma anche i bambini della Girolami hanno diritto ad andare a scuola come i nostri», conclude. «Ma in sicurezza. E questa ce la devono assicurare le istituzioni, che al momento ancora in buona parte tacciono».
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